Maffeis, «La Chiesa non può essere vera senza trasparenza»

La comunicazione nella Chiesa sta cambiando preferendo la trasparenza ai nascondimenti. Anche grazie ad un Papa che fa toccare con mano una nuova esperienza di Chiesa. Intervista a don Ivan Maffeis portavoce della CEI

«La riforma della Chiesa passa anche da come essa si comunica al mondo e su questo Papa Francesco ci sta insegnando molto. Eppure, anche con un Papa così facile da raccontare, dobbiamo stare attenti a non fermarci alla superficie del suo linguaggio». Don Ivan Maffeis, neo-direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali e portavoce della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), ha sempre creduto nel progetto di una Chiesa più trasparente che riesce a confrontarsi liberamente con l’informazione laica, soprattutto nei momenti di crisi. Da pochi giorni è in libreria il suo ultimo testo “Cronisti dell’Invisibile” edito da Ancora.

Nel suo ultimo libro, “Cronisti dell’invisibile” (Ancora, 2015) raccoglie le storie e le esperienze di 15 vaticanisti e professionisti dell’informazione religiosa. Qual è lo scopo di questo testo?
«L’idea di partenza era quella di mettere insieme degli appunti di taglio etico-deontologico da consegnare agli studenti. Col tempo, però, mi sono reso conto che sarebbe stato più accattivante far dire certe cose a quelle persone che vivono tutti i giorni la professione di giornalista. Quindi lo scopo è diventato quello di entrare nei meandri di questo mestiere attraverso le storie e i racconti degli stessi operatori della comunicazione. Facendo sì che lo stesso lettore tragga da queste esperienze i principi e i valori di questo tipo di informazione, quella religiosa».

Il rapporto tra Chiesa e media sembra logorarsi quando al centro della cronaca ci sono vicende di abusi sessuali o scandali finanziari. Quali passi in avanti ha compiuto la Chiesa su questo fronte?
«Non è facile affrontare certe disgrazie e momenti di sofferenza. Ma se vengono gestiti bene, possono diventare anche provvidenziali. Si può dare un’idea di Chiesa che non vive di sotterfugi o di nascondimenti, ma anzi di una Chiesa che cerca la verità e che tenta il più possibile di essere trasparente. Cosa si può fare? Innanzitutto serve il confronto e l’Ufficio Nazionale delle Comunicazioni sociali è stato preposto a questo: non vuole sostituire le Diocesi ma vuole offrire loro un servizio e un supporto. Decisivo è il raccogliere le informazioni, chiarire le vicende e poi costruire una “strategia di comunicazione”. Inoltre la Chiesa su alcune questioni (come gli abusi) ha posto delle norme e dei principi ai quali ci dobbiamo attenere. Punti fermi che devono ricordarci il rispetto delle persone coinvolte prima e dopo l’accertamento di determinati fatti. Il che non vuol dire chiudersi in quella prudenza che diventa la scorciatoia per non essere trasparenti, sinceri e veri. Oggi è necessario faticare per essere quanto più trasparenti possibili esprimendo piena solidarietà alla sofferenza delle vittime. Dire le cose e quindi essere agevolanti anche nei confronti delle autorità, religiose o civili che siano, che devono accertare la verità».

Durante l’ultimo Sinodo sulla famiglia ai giornalisti non è stato permesso di accedere ai singoli interventi dei padri sinodali. Persiste ancora una certa resistenza nei confronti del mondo laico dell’informazione?
«Davanti al Sinodo dei mesi scorsi (e di quelli che verranno) siamo stati testimoni di una grande attenzione da parte dei media. Non è stato un caso che il Papa, a conclusione dei lavori, abbia ringraziato i giornalisti per il lavoro svolto. I limiti poi ci sono, quelli che portano a semplificare, a colorare, a contrapporre progressisti e conservatori, vescovi vicini al Papa e vescovi contrari. È il gioco di una comunicazione che vuole arrivare subito ai risultati. Un sinodo è fatto certamente per costruire risposte ma vive di confronto, di dibattito aperto. Quindi agli operatori della comunicazione è stato chiesto il rispetto del discernimento dei padri sinodali che prende un certo tempo. I giornalisti fanno il loro lavoro ma entrare nell’intenzionalità dei vescovi vuol dire anche comprendere il confronto attorno ad un tema così importante come quello della famiglia».

Cosa ne pensa della comunicazione di Papa Francesco?

«Papa Francesco ci sta dando quotidianamente una lezione di comunicazione, col suo modo di porsi, con la sua disponibilità, con il coraggio con cui affronta la folla, con la verità che traspare dalla sua testimonianza. Eppure anche con un Papa così facile da raccontare dobbiamo stare attenti a non fermarci alla superficie. Francesco con il suo linguaggio ad effetto ci tende una mano e ci invita a camminare insieme a lui. Ci sollecita ad intraprendere un percorso diretto ad un incontro più profondo con Gesù Cristo, ad un’esperienza più vera di Chiesa».

Dall’ultimo documento sistematico sugli strumenti della comunicazione (decreto conciliare Inter Mirifica) sono trascorsi più di cinquant’anni. Papa Francesco, nei prossimi anni, potrebbe donare alla Chiesa un’enciclica sulla comunicazione?
«La proposta è affascinante. Mentre stiamo per accogliere una lettera enciclica sulla salvaguardia del creato ci rendiamo conto di quanta ecologia abbia bisogno anche la comunicazione. Il tema della comunicazione proprio perché si sposa con il tema dell’annuncio, con la concretezza dei segni, con la carità, diventa un tema trasversale che in un modo o nell’altro rientra in tutti i documenti. Perché rientra nell’esperienza quotidiana di una comunità, di una famiglia, di una Chiesa. Vedremo».

Con l’apertura della porta santa il prossimo 8 Dicembre verrà inaugurato il Giubileo Straordinario della Misericordia. Cosa dobbiamo aspettarci da questo anno?

«Direi molto. E lo dimostra già il fatto che il suo annuncio è stato accolto con grandissima attenzione da tutti. La direzione è quella indicata dallo stesso Papa Francesco là dove dice che la riforma della Chiesa è decisiva ma la prima riforma passa attraverso la conversione personale dei cuori. Se l’anno della misericordia deve aiutarci a ridisegnare il volto della Chiesa ciò non lo si ottiene puntando il dito contro la Curia. Si tratta piuttosto di prendere sul serio quello che il Papa, sulla scorta dell’esperienza cristiana ed ecclesiale ci sta dicendo: prendere sul serio il messaggio del Vangelo».

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