Dopo più di un anno di convivenza forzata (e angusta) con il virus SarsCov2, la cui sindrome patologica è conosciuta come Covid-19 (COrona VIrus Disease-2019), si è ormai, salvo qualche rara eccezione, imparato a riconoscere e soprattutto ad affrontare, in maniera prudente e responsabile, la malattia. Si tratta però di osservare solo la punta di un lungo e sommerso iceberg, perché molte volte anche gli stessi esperti e studiosi hanno trovato evidenti difficoltà nel capire e spiegare la struttura del genoma, specie dopo le tante mutazioni dell’ultimo semestre, variante inglese su tutte.
La situazione però sembra finalmente andare verso una svolta importante. Il gruppo di ricerca di Manolis Kellis al Massachussets Institute of Technology (Mit) a Cambridge, negli Stati Uniti, ha pubblicato i risultati tratti dall’identificazione della mappa più completa e precisa del genoma del virus SarsCov2. Il risultato è stato poi pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Uno strumento fondamentale per la lotta a Covid-19, perché non solo identifica tutti i geni funzionali che vengono poi tradotti in proteine, ma riesce anche a facilitare lo studio delle nuove mutazioni che stanno guidando l’evoluzione delle varianti, in modo da fare luce su quali potrebbero aiutare il virus ad attaccare le difese immunitarie. (Fonte Ansa.)
A comprehensive map of the SARS-CoV-2 genome: MIT researchers have determined the virus’ protein-coding gene set and analyzed new mutations’ likelihood of helping the virus adapt. https://t.co/EBipoJ8eH7 pic.twitter.com/ulsd9njHX0
— Massachusetts Institute of Technology (MIT) (@MIT) May 11, 2021
L’annuncio ufficiale della ricerca sul profilo Twitter del MIT
Che cos’è il genoma SarsCov2
Il genoma del coronavirus SarsCoV2 è una sorta di manuale di istruzioni costituito da Rna che comprende quasi 30.000 “lettere” (basi) – per lettere basi si intendono le classiche adenina (A), la citosina (C), la guanina (G) e uracile (U). Ogni base è collegata ad una posizione specifica –. Per comprendere quali sono quelle che formano delle “parole” di senso compiuto (ovvero dei geni contenenti le indicazioni per produrre proteine), i ricercatori del Mit hanno condotto uno studio comparativo confrontando il genoma di SarsCoV2 con quello di altri virus “parenti”: si tratta del coronavirus responsabile della Sars (SarsCoV) e 42 ceppi di Sarbecovirus che infettano i pipistrelli.
Gli studi sono poi proseguiti in modo incessanti e si è scoperto che il genoma SarsCoV2 contiene sei geni codificanti, che si vanno ad aggiungere agli oltre cinque già noti in tutti i coronavirus, ovvero DPP9, IFNAR2, LZTFL1, OAS1,TYK2 noti per essere coinvolti nei processi infiammatori e nella risposta immunitaria.
Successivamente, è emerso che nella regione di Rna, che contiene il gene ORF3a, è presente anche un altro gene nascosto, chiamato ora con il nome ORF3c, che può essere letto “sfasato” di qualche lettera rispetto all’altro: un fenomeno raro nei genomi molto grandi, ma piuttosto comune nei virus.
Proprio grazie a questo ultimo passaggio e allo studio comparativo dell’intera ricerca, gli studiosi del Mit sono riusciti a correggere alcuni errori commessi negli studi precedenti. Ecco come sono riusciti a dimostrare che cinque “regioni” di Rna proposte come possibili geni, in realtà, non codificano proteine. Inoltre si è arrivati alla definitiva esclusione che possano esistere altri geni codificanti ancora da scoprire. (Fonti Ansa, Repubblica.)
Che cosa sono realmente le varianti?
Lo studio dei ricercatori del Mit è fondamentale anche per approfondire la fisionomia delle varianti del virus.
I ricercatori hanno preso in campione oltre 1.800 mutazioni comparse nel genoma di SarsCoV2 e per ogni gene hanno valutato quanto velocemente si è evoluto in passato rispetto ai mesi della pandemia. I risultati dimostrano con costanza che la maggior parte dei geni mantiene la stessa “velocità di evoluzione”, con diverse accezioni probabilmente dovute all’adattamento all’ospite umano. Un esempio importante: c’è una regione della proteina nucleocapsidica (quella che avvolge il materiale genetico del virus), che ha accelerato la sua evoluzione durante la pandemia: questa regione è un costante bersaglio dei linfociti B – cellule del sistema immunitario che giocano un ruolo primario nell’immunità umorale dell’immunità acquisita al contrario dei linfociti T che sono fondamentali nell’immunità cellulare – e le mutazioni potrebbero servire al virus per eludere le difese.
Sul finire della ricerca sono state confrontate le varianti che hanno creato maggiori preoccupazioni e vittime (come l’inglese, la brasiliana e la sudafricana), ed è stato proprio in questo momento che i ricercatori hanno osservato che la maggior parte delle mutazioni riguardano la proteina Spike (che ricopre di protuberanze la superficie esterna di SARS-CoV-2), ed è proprio attraverso queste caratteristiche peculiari che essa “aiuta” il virus a diffondersi più velocemente. Ciascuna variante presenta più di 20 mutazioni e, grazie alla genomica comparativa, è possibile individuare quelle che potrebbero essere più significative. (Fonti Ansa, Microbiologia Italia e Sif Web – Società italiana di farmacologia).
Quindi un ulteriore passo in avanti per debellare definitivamente una malattia che continua a causare danni fisici e psicologici all’intera comunità.
Un processo di studi che porterà benefici e maggiore informazione per tutti, perché l’informazione è la prima arma contro la paura e il panico, il vero “vaccino” contro la speculazione del dolore.