“Mi sono salvato per un miracolo di Dio.” Storia di un sacerdote che ha sconfitto la violenza

Ma forse il vero miracolo è quello che è successo dopo che è sopravvissuto all'aggressione: il dialogo con i giovani componenti della banda

Questa è la storia di un sacerdote vittima di violenza nel suo Paese e salvato da un miracolo, secondo quanto racconta lui stesso. Ma il vero miracolo è quello che è successo dopo l’aggressione da parte delle bande.

«Solo Dio può salvarmi. La pistola puntata su di me e la preghiera nella mia anima nel peggior momento della mia vita. Giacendo a terra, mi aspettavo solo un miracolo da parte di Dio».

 

Lo chiameremo Don Pedro, per salvaguardare la sua identità. Ordinato sacerdote nel 2011, è stato inviato dal vescovo per accompagnare alcuni dei quartieri più violenti della zona settentrionale dell’Honduras in San Pedro Sula, in una città di circa 130.000 abitanti suddivisi in due parti, a causa delle bande chiamate Las Maras, che si dedicano al traffico di droga e a una serie di atti criminali che tengono nel caos la società. Una parte è governata dalla MS (Mara Salvatrucha) e l’altra dalla Banda dei 18.

Questi due gruppi sono totalmente opposti, con territori ben separati da una strada. Quelli di un settore non possono passare all’altro. Soprattutto i giovani non potevano attraversare questo confine invisibile, perché sarebbero stati catturati e uccisi, in quanto considerati spie della banda opposta.

 

La parrocchia sotto la custodia di don Pedro comprendeva le due zone e lui era arrivato lì impaurito dalla fama che aveva: «Con grande rischio ho dovuto attraversare da un settore all’altro per visitare le comunità. Sono riuscito a farlo in silenzio, fino alla sera del Corpus Domini, mentre tornavo dalla celebrazione della messa in macchina: ho visto circa 8 individui armati fino ai denti che mi bloccano, mi colpiscono e mi buttano bocca-a-terra, puntandomi il mitra sulla schiena. Erano chiaramente sotto effetto delle droghe. Ho detto loro che ero un prete, che non ero un infiltrato, che stavo appena tornando dal mio lavoro. Uno di loro, che ha puntato la pistola contro di me ha detto: “sei un prete? Beh, mi dispiace, padre, si vede che dovevi morire così. Ho pregato in silenzio aspettando un miracolo da Dio…”

Mi hanno derubato, poi quello che stava puntando la pistola mi ha detto: non la ucciderò padre, ma farò un tentativo per far sembrare che l’abbia ucciso. Rimanga sul pavimento senza muoversi, fino a quando ce ne siamo andati. Se si rendono conto che non l’ho ucciso, ci uccideranno entrambi”. È stato così che mi sono miracolosamente salvato quella notte. Lì è iniziato un lungo viaggio con i membri della bande nella mia comunità».

Davvero un miracolo ha portato a un altro più grande: «Ho deciso di avvicinarmi per incontrarli con le armi della fede e dell’amore».

Hai avuto delle persecuzioni dalle bande dopo questo evento?

«Avevo molta paura, andavo dai miei genitori che vivevano in un altro settore, non riuscivo a dormire, pensavo che da un momento all’altro sarebbero venuti ad uccidermi, perché li avevo visti. Ho trascorso i giorni più terribili della mia vita. Sono stato così per alcune settimane e poi ho detto che non potevo continuare in questo modo. Dovevo fare qualcosa per superare questa situazione. O la affrontavo o chiedevo il trasferimento».

Qual è stata la decisione che hai preso?

«Ho preso la decisione di avvicinarli e parlare con loro. Ho preso coraggio e mi sono avvicinato ai membri della banda, trattandoli come persone. Non è stato facile. La paura è sempre presente, ma sapevo come dialogare con loro, ascoltare le loro preoccupazioni e farmi vicino a loro. Ricordo che per un Natale ho offerto da mangiare per la loro cena di Natale. Ho pensato per 15, ma hanno mangiato circa in 40 con il cibo che ho dato loro. Poco a poco hanno cominciato a fidarsi di me e io di loro.»

E poi che cosa è successo?

«Il capo di uno dei settori mi ha mandato a chiamare, ma avevo paura di rispondere alla richiesta di incontrarlo a casa sua, perché se arrivava la polizia e io ero lì, mi sarei trovato in una situazione complicata. Ma alla sua insistenza ho deciso di andare e sono rimasto davvero sorpreso dalla sua richiesta.»

Cosa le ha chiesto il capo?

«Quando sono arrivato a casa sua, mi ha detto: “Voglio solo farti una domanda, padre. È possibile che Dio abbia pietà di me se sono battezzato? Sì, certo, Dio avrà pietà di te. Voglio essere battezzato, ma lo voglio in piena segretezza. Ci sarà mia madre ed io. Nessun altro.»

Che cosa ha fatto Lei? Lo ha battezzato?

«Dopo aver consultato il mio vescovo, l’ho battezzato. È stata una celebrazione molto forte anche per me, perché avevo davanti a me un soggetto che, nonostante i suoi 16 anni, aveva già ucciso molte persone. Gli dissi che avrebbe dovuto prendere la decisione di essere più misericordioso con le sue vittime, così come voleva che Dio avesse pietà di lui. Ha preso l’impegno di essere più misericordioso e io sono testimone di questo cambiamento.»

Come è arrivato a fidarsi e a vederli come persone e non come criminali?

«Ogni persona desidera la pace spirituale, indipendentemente dal peggiore dei mondi in cui si trova. Sullo sfondo di tanta violenza, si scopre una grande mancanza di amore. I marero sono persone di parola, se commettono qualcosa, lo realizzeranno, sia nel bene che nel male.»

Hanno rispettato i loro impegni religiosi?

«Con molto sforzo e dialogo abbiamo raggiunto il risultato che in alcune processioni e eventi sportivi i giovani di entrambi i settori potevano essere uniti, creando piccoli spazi di incontro e dialogo.»

Cosa consiglieresti ai giovani della regione riguardo a questi gruppi?

«Direi che quella violenza non è una soluzione a nulla e che le armi prendono sempre sangue. Questa non è la via della felicità. Devi fare tutto il possibile per evitare di cadere nelle grinfie di questi gruppi organizzati, che alla fine ti rendono schiavo del vizio, dell’odio, della vendetta.»

L’Hoduras è davvero un paese molto violento?

«Nonostante la violenza, da cui io stesso sono stato colpito, non possiamo generalizzare. Siamo più di 9 milioni di abitanti ed è solo un piccolo gruppo che dà questa fama alle nostre terre. Come honduregno, sottolineo il calore della nostra gente, della nostra cultura. Ci sono così tante belle cose che meritano di essere raccontate al mondo. Non si può parlare di Honduras raccontando solo le maras.»

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