Il giorno dopo la finale è sempre difficile riorganizzare le idee e buttare giù un pezzo, soprattutto perché sarebbero tantissime le cose da raccontare. Ieri sera è stata assegnata la coppa del mondo e ad alzarla al cielo di Rio de Janeiro è stata la Germania, che vince per 1-0 contro l’Argentina dopo i tempi supplementari, con un gol di Mario Goetze al 113′ di gioco. Vince probabilmente la squadra più forte di questo torneo. E allora partiamo proprio da lì con le nostre considerazioni, proprio da quel momento di gloria tedesco.
Lahm è appena salito sul palco, rigorosamente per ultimo come ogni buon capitano vincitore, e ha ricevuto la coppa in mano. Si fa spazio tra i compagni in festa, già esulta, si guarda intorno e la alza con tutta la forza che ha in corpo, tra le grida di gioia dei 23 di Joachim Loew, allenatore fantastico, ma fino a ieri mai vincente. Quello è il fotogramma che più rimarrà impresso di questo mondiale. Quella la cartolina che consegniamo alla storia, con i tedeschi che sollevano la coppa d’oro sul palco delle premiazioni.
Lo stesso palco su cui pochi istanti prima era salito per ben due volte Lionel Messi. Doveva essere il suo mondiale, e in parte lo è stato, ma il sogno del popolo argentino si è infranto a 7 minuti dai calci di rigore, dopo una partita giocata alla grande contro ogni pronostico. Il fenomeno del Barcellona ora sarà il bersaglio numero 1 della critica e si ricomincerà dai soliti tormentoni: “Messi non è Maradona”, “in nazionale non è mai decisivo”, “vince solo nel Barcellona”. Eppure Leo una piccola soddisfazione se la porta a casa, anche se a guardare il suo volto cupo, diremmo che è una magra, magrissima consolazione. L’argentino è stato premiato infatti come miglior giocatore del mondiale, premio che gli ha dato l’opportunità di salire sul palco insieme a Manuel Neuer, portierone tedesco (il miglior portiere del mondiale), tra gli applausi, comunque sportivi, del popolo brasiliano. Questa prima salita sul palco delle premiazioni, per Messi, è stata pesantissima, ricca di tristezza per un trofeo personale che è cartastraccia in confronto a quella coppa che l’erede di Maradona sognava di conquistare. Da buon capitano anche lui, ritorna dai suoi compagni, li raccoglie e si mette in fila per primo, pronto a ricevere la medaglia d’argento: quella degli sconfitti, quella di chi non ce l’ha fatta.
L’onore delle armi è d’obbligo per questa Argentina, che ieri ha dimostrato di poter giocare alla pari contro la corazzata tedesca. Lo immaginiamo, sarà stata una notte di passione a Buenos Aires e in tutta l’Argentina. Il popolo della Selecciòn ci aveva creduto, sperato; aveva sognato Messi, 28 anni dopo El Pibe de Oro, che sollevava la coppa del mondo. Questa sconfitta brucia forse più di ogni altra mai subita: vincere proprio in Brasile, sarebbe stata l’apoteosi. Non piangono gli argentini, almeno quelli in campo, che indossano la loro maschera da uomini duri fino alla fine. Questa squadra ha il carattere e la grinta di Mascherano, più leader di Messi, più combattente, più lottatore, eroico anche ieri sera.
Piangono invece i tedeschi, ma sono lacrime di gioia per il quarto trionfo, aspettato da tanto, troppo tempo. La coppa del mondo in Germania mancava da 24 anni, lo stesso tempo che anche noi e il Brasile avevamo aspettato per passare da 3 a 4 stelle sul petto: corsi e ricorsi storici del calcio. Piange Miroslav Klose, l’uomo di ghiaccio che sembra non provare mai emozioni. Il miglior bomber della storia della Germania saluta la nazionale come meglio non poteva: vince la coppa del mondo e raggiunge quota 16 gol nella fase finale di un mondiale, battendo anche il record del brasiliano Ronaldo.
Non piange, almeno davanti alle telecamere, Mario Goetze, 22 anni, eroe di questa Germania. Il ragazzo scuote la testa, non ci crede neanche lui, ma con un suo gol ha appena regalato il mondiale al suo Paese. L’incoscienza della gioventù è tutta rappresentata dal volto pulito di questo ragazzo, che probabilmente solamente con il passare degli anni si renderà conto di quello che ha fatto ieri sera. Ironia della sorte è soprannominato “il Messi tedesco”. Lui non ha mancato l’appuntamento con la storia, l’argentino sì. E fa riflettere come siano stati proprio i giovani la linfa vitale di questa nazionale campione del mondo. Abbiamo tanto da imparare dai tedeschi, dalla loro filosofia di calcio, dalla loro programmazione. Questa vittoria è la chiusura (o forse una nuova apertura?) di un ciclo cominciato nel 2006 con il mondiale giocato in casa. Nel frattempo sono passati 3 mondiali e 2 europei, ma la Mannschaft non è mai scesa dal podio, centrando sempre la semifinale, e in 2 casi anche la finale.