“Noi siamo l’ago e possiamo ricucire”: la giustizia che guarisce gli strappi del reato

“Ago e filo” è un percorso di giustizia riparativa, 10 incontri con un gruppo di adolescenti autori di reati verso la persona. Nasce dalla collaborazione tra l'Istituto per la mediazione sistemica (IsMeS), il Centro Giustizia Minorile di Roma e l'Accademia Popolare dell'Antimafia e dei Diritti (AP)

«Se entrasse qualcuno e ci vedesse, penserebbe che siamo solo una banda di criminali, di delinquenti…inutili» è stata una delle prime frasi che sono uscite dalla bocca di uno dei ragazzi durante il primo incontro. «Una frase detta senza pietismo, senza vittimismo, radicata, interiorizzata, convinta» ha commentato Erika Cofone, una dei due riferenti dell’Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti che ha partecipato e guidato tutti e 10 incontri con i ragazzi.

Francesco, Giovanni, Marco, Samuel, Zyad, Matteo, DIrce, Erika, Loris, Francesca e Carlo: in ordine i sei ragazzi, la vittima di una rapina, i due operatori sociali e i due mediatori penali che sono i protagonisti di questo dialogo sul reato. Lo scopo del percorso era quello di instaurare un dialogo non incentrato sui fatti ma sugli aspetti umani ed emotivi del reato con lo scopo di arrivare ad una riflessione condivisa sul danno, sulle sue conseguenze e sui suoi significati.

“La giustizia riparativa consente di recuperare la fiducia”

La Dott.ssa Francesca Mosiello è uno dei due mediatori penali dell’IsMeS che ha partecipato al progetto Ago e Filo. É laureata in psicologia, specializzata in psicoterapia sistemico relazionale e formata come mediatrice penale ed esperta di giustizia riparativa. «Sono entrata per la prima volta in un carcere minorile che avevo ventinue anni, quasi coetanea degli ospiti dell’Istituto Penale Minorile» ci ha raccontato la Dottoressa durante un’intervista. Ques’esperienza le ha dato modo di capire che l’esclusione che viene attuata attraverso «il muro dell’stituto penitenziario non serve a granchè se non ad ibernare le situazioni che vivono le persone recluse ma anche le vittime fuori dal muro». Così ha iniziato ad interessarsi alla mediazione penale «con la convinzione anche verificata nell’esperienza» che la giustizia riparativa consente di recuperare la fiducia rispetto alle lacerazione che i reati producono.

 

Dalla giustizia che condanna alla giustizia delle emozioni

All’inizio i ragazzi vedevano la giustizia come la giustizia che condanna e che punisce e la vittima del reato nemmeno esiste. Ecco perchè è stato necessario l’incontro con la vittima di una rapina, Dirce, che ha consentito un cambio di prospettiva che ha permesso lo sviluppo di una giustizia delle emozioni. Un incontro che ha permesso di intraprendere un percorso di decostruzione delle etichette per arrivare alla dimesione essenziale delle persone. Infatti, questi confronti riparativi servono anche a chi non ha comesso reati per rendersi conto di quanto in realtà, nella fragilità, siamo vicini a questi ragazzi. Davvero non sbagliamo mai? Davvero non abbiamo mai fatto male a nessuno? Siamo così puri noi altri?

Dirce, la vittima di una rapina che, dall’incontro di giustizia riparativa, è uscita con speranza

«Ho visto i ragazzi come persone, li ho ascoltati e guardati negli occhi e nella postura, accorgendomi anche delle loro peculiarità: quello vicino a me è rimasto sorpreso della mia testimonianza, in un altro ho percepito un sentimento di vergogna, un altro ancora si alzava molte volte per andare in bagno, un altro mi analizzava profondamente, era fermo a guardarmi ed era interesssato a sapere le cose che dicevo, comunque non c’era ammirazione, come se mi percepissero coraggiosa. E anche loro sono stati coraggiosi nell’incontrare una persona che come me è stata rapinata , sono ancora nell’età che possono cambiare. So che è un lavoro molto difficile il vostro ma sono uscita con la speranza» sono queste le parole di Dirce dopo aver raccontato il trauma della rapina subita dieci anni prima. Si è ancora in tempo per affrontare percorsi di crescita e per evitare dinamiche guaste, malate, di dolore, alimentatrici di disagio personale e collettivo. Solo che i ragazzi non pensano che questa via sia possibile, che questa via esista: «la giustizia riparativa non esiste» aveva affermato uno di loro proprio durante il primo incontro.

Prima degli incontri per i ragazzi la giustizia riparativa non esisteva come non esisteva la vittima del reato, le conseguenze che questo ha causato. L’impatto di Dirce è stato potente: il silenzio, l’ascolto, l’imbarazzo, la vergogna, lo stupore di quella testimonanianza che ha consentito ai ragazzi di incontrare la propria violenza, le conseguenze delle proprie azioni. In ogni reato si crea un vuoto e l’incontro di giustizia riparativa diventa un luogo che accoglie e accompagna i protagonisti a superare il muro dell’isolamento e a ricreare una dimensione dialogica. Il conflitto si trasforma come si trasforma la relazione che le persone coinvolte hanno con sé stessi e con la società.

Così i ragazzi hanno trovato un luogo per sentirsi a loro agio, per ricominciare da capo, per poter scegliere chi essere, per essere l’ago e per poter ricucire. Matteo, Francesco e Samuel grazie alla collaborazione fra l’Associazione daSud e l’Associazione Sportiva Runner Trainer sono stati inseriti come tutor nella scuola di atletica per bambini: «La gente incontrata ci ha trasmesso cose che anche noi sappiamo ora possiamo essere in grado di trasmettere» ha detto Giovanni che ora, insieme agli altri ragazzi, sceglie la via migliore: quella che non nuoce a loro stessi e all’altro.

Testimonianza di un incontro di giustizia riparativa

L’Istituto per la Mediazione Sistemica, insieme a due vittime di reato e un autore di reato, hanno voluto mostrare con le loro parole e testimonianze l’impatto che la giustizia riparativa può avere sulle persone.

 

 

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