«La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia; dal mondo esterno, che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane; infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra». Queste parole erano parte di uno studio di Sigmond Freud, “Il disagio della civiltà” nel 1929. Da tanto tempo molte persone hanno parlato e scritto sul perché del dolore, sul perché della sofferenza del’essere umano. E hanno proposto tante alternative per affrontarlo, ma certo è che molte volte il dolore non ci lascia, rimane con noi e dobbiamo imparare a vivere con questa carica.
Di queste cose la vita di Franco ha qualcosa da raccontare. Franco Venci ha 83 anni di vita, è sposato con la signora Maria Calabrese di 81 anni. Attualmente vivono a Roma e gioiscono del rapporto con le due figlie e i nipoti. Franco, nato il 2 giugno del 1938, a Roma, ricorda con molto dolore e malinconia i suoi genitori. Da piccolo gli fu rubato il suo mondo, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale.
Suo padre Alberto Venci, nato nel 1913, lavorava in una fornace di mattoni, ma dovette lasciare il suo lavoro per andare in guerra. Partì da Bari il 29 maggio 1940, sbarcato a Bengasi il 30 maggio dello stesso anno. Franco allora aveva 2 anni ed era figlio Unico: rimase con la madre Norma.
Con i genitori separati dalla guerra inizia per Franco un periodo di grande difficoltà, insieme alla madre e alla nonna. La madre lavorava presso l’ente comunale assistenza da 10 a 15 ore al giorno, per guadagnare un po’ di denaro per sopravvivere, quindi non vedeva Franco quasi mai. C’erano i momenti dei bombardamenti, e lui ricorda come sua madre lo prendeva per una braccio e lo tirava giù per la scala, come se fosse stato un oggetto. Ricorda che in una di queste occasioni le ha detto: non voglio morire, voglio vedere mio padre.
Dopo di 6 anni di prigionia in un campo di concentramento inglese in Sudafrica, il padre è tornato a casa. Hanno saputo che era vivo, prima del 1946: per posta era arrivata una fotografia. Altre notizie arrivavano attraverso lo Stato del Vaticano. Il momento del ritorno di suo padre fu grande: lungo un viale c’era Franco, con altro bambino, e insieme correvano per andare incontro ai loro padri, ma Franco correva più veloce perché il desiderio di abbracciare il suo padre era tanto.
Dopo quell’abbraccio ce ne fu solo un altro, pochi mesi prima della sua morte (1982). E, con dolore, Franco dice che da sua madre non ce ne fu nessuno.
Quando suo padre tornò, il 2 agosto 1946, Franco aveva 8 anni. Per suo padre non fu facile adattarsi: non usciva da casa, non si fidava di nessuno, aveva paura di uscire e incappare in qualche pericolo. Dopo circa un anno è riuscito entrare in contatto con le persone. Poi sono nati altri due figli, una femmina e un maschio.
Per Franco non è stato facile sopravvivere ai bombardamenti in quel periodo di guerra e soffrire le limitazioni. Ma quello che lo ha ferito di più è stata la mancanza di sua madre e di suo padre. Ancora oggi questa ferita sanguina: produce un profondo dolore e una tristezza che mai si esauriranno.
Il trauma psicologico, come dicono gli specialisti, «è inteso come turbamento o una alterazione dello stato psichico prodotto da un avvenimento dotato di notevole carica emotiva di un individuo, conseguente a esperienze e fatti tristi, dolorosi, negativi, che turbano e disorientano». Franco per la mancanza dei suoi genitori ha sofferto un vero e proprio trauma: la Guerra gli ha tolto le condizioni perché la sua famiglia potesse crescere nell’amore.
Per sua moglie le cose sono andate in maniera un po’ diversa ma non era esente del dolore. Maria era figlia di un militare di carriera. La sua mamma prendeva ogni tanto uno stipendio dato alle spose dei militari e lei è rimasta a casa con la sua mamma e uno zio che era come suo padre, tanto che ha rifiutato suo padre, quando è tornato a casa dopo la prigionia. In Lei è rimasto il rammarico di non aver accettati il padre per alcuni mesi, perchè aveva 6 anni e lo conosceva solo per foto, ma il suo aspetto era molto cambiato e nella sua mente lo considerava un impostore. Questo per lei è rimasto un dolore indelebile, perchè pensa alla sofferenza del padre, che partito per l’ Africa 3 mesi prima della sua nascita, ha subito il rifiuto dopo 6 anni di prigionia.
Questa storia ci mostra che le condizioni della vita sono essenzia, perché una persona possa crescere integralmente. Franco sente che questa ferita non ha influenzato negativamente il suo matrimonio e i suoi figli, ma per lui sarà una croce fino a quando partirà da questo mondo. Dopo tanti anni in cui hanno condiviso la propria vita, più di una volta si sono seduti a parlare di tutto quello che hanno vissuto da bambini, in periodo di guerra. Mentre li interrogavo su questa esperienza, la signora Maria ha guardato negli occhi Franco e gli ha chiesto: «Franco ti ho aiutato?». E con lacrime nei suoi occhi Franco ha risposto: «A me sono mancati mia mamma e mio padre».