Omeopatia, solo acqua e zucchero? Ai medici non piace, ma i pazienti guariscono

Intervista a Mariagrazia Brunelli, dottoressa omeopatica, che spiega quali sono gli ostacoli ad una piena accettazione di questa medicina "alternativa"

Periodicamente, si riapre il dibattitto sull’omeopatia: funziona davvero? È solo un effetto-placebo? Ad esempio, recentemente una ricerca della National Health and
Medical Research Council, massimo organismo australiano per la ricerca medica,
ha ribadito che non c’è motivo di credere che l’omeopatia «funzioni meglio di una pillola di
zucchero». Questa sentenza non è affatto una novità dal momento che questa tesi
è appoggiata ormai da molto tempo da tantissimi medici, che considerano questo
tipo alternativo di cura come semplice acqua fresca.

Dall’altra parte c’è chi invece ribatte duramente, accusando
i medici contrari all’omeopatia di pregiudizi infondati. A sostegno di questa
tesi ci sono le statistiche, secondo cui in Italia 11 milioni di persone
utilizzano con successo farmaci non convenzionali per curare e prevenire
malattie e 20mila medici iscritti all’Albo li prescrivono.

Secondo Mariagrazia Brunelli, dottoressa omeopatica ( ha
conseguito la specializzazione in Omeopatia a Roma, presso il professor Antonio
Negro, uno dei primi in Italia a praticare dal dopoguerra questa medicina con
grandissimo successo), il fatto che l’omeopatia sia vista quasi come una pratica
magica è dovuto innanzitutto a tanta ignoranza. «È logico che quando parliamo di medicina omeopatica ci sia
scetticismo», dice la dottoressa Brunelli. «La maggior parte dei medici non
capisce come funzioni questo tipo di medicina. Inoltre il problema è dovuto anche
al fatto che i rimedi omeopatici vengono preparati in una modalità tale che, a
prodotto finito, non vi si trovano le molecole del farmaco, o quantomeno se ne
trovano in piccolissima percentuale nelle diluzioni alla CH, ossia alla
centesimale. Per questo la maggior parte dei medici tradizionali sostiene che
sia semplicemente acqua e zucchero: proprio perché non ritrovano la molecola
del farmaco, come accade invece nei farmaci tradizionali che sono estremamente
ponderali».

Il fatto che la medicina omeopatica abbia così poche
evidenze
scientifiche rimane tuttavia un ostacolo per la maggior parte dei
medici tradizionali, che continuano ad avere difficoltà nel credere nell’efficacia
di queste cure. Tuttavia l’omeopatia si basa su un altro tipo di presupposto: che
«la vera prova scientifica è il paziente che guarisce», dice la dottoressa
Brunelli. Un esempio di facile comprensione è quello dei bambini: «il
bambino non viene influenzato da quello che un medico dice o pensa, come
potrebbe invece accadere per alcuni adulti», fa notare la dottoressa Brunelli. «Si
pone nei confronti del medico omeopatico come si porrebbe nei confronti di un
medico tradizionale, e nel momento in cui al posto dell’antibiotico gli viene
somministrato ad esempio l’aconitum,
lui non riesce a cogliere la differenza tra i due, non sa qual è la presunta
efficacia dell’antibiotico e quale quella dell’aconitum. Sta di fatto che quando ai bambini si somministrano i
rimedi omeopatici loro rispondono positivamente e guariscono. Quindi tutti i
giorni noi abbiamo la prova scientifica che questa medicina funziona».

Davanti a tali convinzioni ci si domanda per quale motivo la
maggior parte dei medici tradizionali non abbia neanche la curiosità di studiare
una medicina che consegue degli effetti, seppur in maniera a loro
incomprensibile.«Non è facile per un medico che ha studiato dieci anni all’università
rivedere le proprie teorie e la propria pratica sotto un’altra ottica. Bisogna
rimettersi in gioco e non tutti lo fanno», commenta Mariagrazia Brunelli. «La curiosità
dovrebbe essere la prima caratteristica di un medico nell’affrontare il proprio
lavoro: la curiosità di capire cosa sta accadendo alla persona, e per quale
motivo. La curiosità di chiedersi perché questo rimedio in quella persona, in
dieci persone, in cento persone ha funzionato, e il coraggio di pensare chi
sono io per dire che invece non funziona».

condividi su