Dove ci informiamo? Sulla radio, la TV, i giornali o sui social network…? Oggi siamo passati dai tradizionali media di comunicazione di massa ai nuovi media di informazione, in particolare i social network. Ma l’informazione è ugualmente credibile? Paolo Pagliaro afferma che, con questi nuovi mezzi, il terreno dell’informazione è minato dalla cosiddetta ”post-verità”. Quindi si sta costruendo una società in cui prevalgono più le emozioni che i fatti, più le suggestioni che le riflessioni, più lo storytelling che le storie vere; e alla fine più la propaganda che le notizie.
È questo stato di fatto che denuncia Paolo Pagliaro nel suo libro Punto, fermiamo il declino dell’informazione (ed Il Mulino). Si tratta di un saggio di 127 pagine, facile da leggere, con un linguaggio semplice, che presenta la realtà dell’informazione oggi in una società che non si informa più, ma dà per ‘veritiero’ quello che vede sul social network. Il libro, uscito nel 2017, si articola in 13 capitoli, preceduti da una premessa, in cui si narra la storia vera di Helene Joane Cox, assassinata da un nazionalista fanatico inlgese nel 2016 a causa di una notizia falsa, che la faceva passare per una nemica della Gran Bretagna.
Analogamente, per l’autore, la Brexit e l’elezione di Trump sono dovute essenzialmente alla disinformazione che ne ha sostenuto la campagna elettorale, perché si è trasferita “la sovranità dai professionisti dell’informazione al popolo della rete”. Infatti, l’argomento di fondo è dimostrare che la rete non è in luogo in cui ci sono informazioni credibili su come va il mondo; non perché una cosa è vista o detta sul web vuol dire automaticamente che è vera. Anche se cresce sempre di più il numero delle persone che si informano tramite i social network, sostiene Pagliaro, le fonti principali delle nostre informazioni restano la TV e la radio, e in particolare “la TV conserva il primato nella dieta informativa dei cittadini”.
Ma non si puo negare la concorrenza della rete ai mezzi tradizionali di informazione; anche se è falsa la presentazione che la rete fa di sé stessa come il luogo in cui si esercita la democrazia diretta in condizione di grande libertà. Ma dietro la libertà che offre questo mezzo, c’è il fatto stesso che – in realtà – il prodotto siamo noi. A questo punto Pagliaro va d’accordo con Giovanni de Mauro che nella rivista “Internazionale” numero 1222 dal 15 al 21 settembre 2017, sostiene che dietro l’affermazione del “gratis di Facebook” si trova, invece, ”la più grande azienda di sorveglianza del mondo, che vende i nostri dati ai inserzionisti pubblicitari”. Insomma, c’è da chiedersi, secondo questi due autori, il futuro dei giornali è davvero online?
Dare una risposta a questa domanda è l’obiettivo del libro di Pagliaro. Per l’autore, la rete offre una grande quantità d’informazioni, ma di scarsa qualità. Da qui nasce il problemà della credibiltà e della disinformazione. Spesso la rete diffonde dicerie, “bufale” e “fake news”: ”Moltiplicando per mille le informazioni che riceviamo ogni giorno, il web ha moltiplicato anche le informazione false, aiutato da media che hanno smesso di mediare, o che non lo fanno più in esclusiva, rimpiazzati da un tweet e da un post su Facebook”.
E spesso i politici si servono dei social network per diffondere le loro menzogne. Per difendere la sua affermazione, Pagliaro usa diversi esempi come quello dell’immigrazione o della Brexit, o ancora il caso della guerra contro Saddam, che hanno evidenziato la disinformazione e una manipolazione dell’informazione al servizio degli interessi politici. Assistiamo al regno della post-verità motivato dal ”narcisismo di massa” e al politicismo, afferma l’autore. E proseguendo il suo saggio, l’uomo di cultura e di comunicazione fa poi la presentazione di cosa sia veramente ‘una “fake news”.
Senza fermarsi a denunciare solo il male che esiste nel mondo dell’informazione o la competizione fra i media tradizionali e la rete, Pagliaro presenta alcune soluzioni, puntando sulla riscoperta del ruolo del giornalista nella società. Quindi è dato al giornalista il compito di promuovere il suo mestiere con una coscienza professionale fondata sull’informazione vera, con un’etica e deontologia legata alla sua misione. Il giornalista dovrebbe essere attento al flusso di informazione che fa girare perché scrive Herbert Simone premio nobel 1971, “l’informazione consuma l’attenzione. Quindi l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione…”.
Pagliaro, dunque, per una buona informazione o un buona pratica del giornalismo invita alla “economia dell’attenzione’‘, per evitare il ”rischio di un overdose”. È vero che è diventato difficile in questi tempi, con lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione, distinguere la vera dalla falsa informazione, ma l’attenzione alla fonte e l’impegno ad approfondire, verificare e filtrare sempre una notizia possono aiutare in questo esercizio.
Insomma, in questa società in cui informarsi si riassume spesso semplicemente nel guardare, clickare, leggere sulla rete una notizia, la sfida giornalistica è ancora più grande. Ma verrebbe una domanda da fare a Pagliaro: si pùo veramente “mettere un punto” a questo fenomeno, quando il mestiere del giornalismo soffre di scarse risorse (e quindi di redditi per i professionisti…) e quando la tecnologia di oggi dà a tutti la possibliltà di fotografare, registrare e comentare un evento, così che un fatto diventi notizia? È il tempo che dà, a volte, al fatto il valore di una notizia. E lo sappiamo: la notizia non aspetta! La rete non serve solo a disinformare, perché spesso gioca acnhe un grande ruolo nell’informazione, nello scambio di notizie…
Allora, in un tale contesto, come “mettere un punto” quando vale anche per la rete la famosa formula Mc Luhan “il medium è il messaggio”? Inoltre, Pagliaro stesso nel libro non nega il valore del giornalismo partecipativo, cioè il ruolo dei cittadini per costruire anche loro l’informazione estendendo la democratizzazione non solo dell’informazione ma anche del sapere?
Comunque il libro di Pagliaro rimane interessante da leggere per prendere coscienza del rischio delle informazioni diffuse sulla rete.