«Tramite quali notizie ti informi? Sei disposto a pagare per ricevere notizie? Hai mai sentito il termine “fake news”?». Queste alcune delle domande rivolte ai 1000 intervistati italiani nel mese di febbraio 2022 da parte di Ipsos, società di ricerche di mercato e consulenze, per conto di Idmo, hub nazionale contro la disinformazione.
Lo studio, intitolato “Media e fake news: opinioni e attitudini degli italiani nei confronti dell’informazione” ha approfondito vari temi, tra cui i comportamenti nei confronti dell’informazione, le fake news e la difesa dalla disinformazione.
IL COSTO DELL’INFORMAZIONE
Uno dei primi dati che è emerso è che il 69% del campione selezionato legge esclusivamente notizie accessibili gratuitamente, mentre il 32% è disposto a pagare per ricevere notizie da fonti di cui si fida. Questi dati, insieme al calo drastico delle vendite dei quotidiani negli ultimi dieci anni, sembrano confermare quella crisi relativa all’informazione di cui spesso si sente parlare.
«Se l’informazione è gratis», sostiene la giornalista Milena Gabanelli, «poi non lamentiamoci se la qualità diventa bassa. Se non paghi nulla perché l’informazione sul web è gratuita, la partita la gioca la pubblicità. Ma nessuno riesce a stare in piedi solo con la pubblicità, servono molti clic». E per fare molti clic, lo sappiamo, servono notizie spettacolari, curiose, di gossip. A volte anche false.
RICONOSCERE LE FAKE NEWS
A proposito di notizie false, il 99% degli intervistati per lo studio dell’Ipsos dichiara di aver già sentito parlare del termine “fake news”. Alla richiesta: «Sei sicuro di poter distinguere le notizie reali da quelle false?» ha risposto in modo affermativo il 73% del campione. Il risultato si ribalta quando si chiede se, secondo ciascuno, una persona media in Italia sia in grado di farlo: solo il 35% ritiene che le persone siano in grado di operare la distinzione tra notizie reali e notizie false.
Se la maggioranza tra gli intervistati ritiene di riuscire a distinguere le notizie false da quelle vere, più della metà, però, reputa che sia la condivisione della notizia tra molte persone o da parte di un amico molto attivo sui social a garantirne l’affidabilità.
Spesso si dà per scontato che l’informazione molto divulgata sui social o su siti di quotidiani famosi sia sinonimo di verità, credibilità e, soprattutto, affidabilità. Casi anche molto recenti di disformazione e misinformazione, però, ci dimostrano ancora quanto sia necessario operare sempre un controllo della pubblicazione originale e dell’autore della fonte (come dichiara di fare il 52% degli intervistati) o incrociare i dati tra i diversi siti web (49%).
IL RUOLO DEGLI ALGORITMI
Inoltre, per quanto riguarda la disinformazione, bisogna anche tenere conto degli algoritmi. Se apriamo Google o Apple News, infatti, vediamo solo informazioni selezionate per noi (e si tratta solitamente di notizie molto diffuse e con milioni di visualizzazioni). Gli algoritmi operano una selezione che non tiene conto di notizie vere o attendibili ma di quelle “fatte su misura” per l’utente. Il lettore si ritroverà a leggere notizie ‘filtrate’ sulla base di ricerche precedenti che, in qualche modo, confermano le sue idee e convinzioni.
Ecco perché se alla domanda «L’olio di palma è più pericoloso per la salute di altri grassi come il burro?», il 33% si dichiara d’accordo e il 36% si astiene dal pronunciarsi, la diffusione su larga scala della notizia (falsa) che mette in guardia dalla crema spalmabile fatto con l’olio di palma, ha fatto il suo lavoro.