
«Vorrei cambiare la voce/ Vorrei cantare senza parole», così inizia il ritornello della canzone di Brunori sas presentata a Sanremo, L’albero delle noci, ma cosa significa cantare senza parole? Esistono parole che la parola non può descrivere, sembra assurdo vero? Eppure è così, e proprio in quel preciso istante in cui ci si rende conto che i vocaboli non bastano per esprimere ciò che si vive, che nasce un canto, è allora che nasce una poesia. Non si tratta di versi necessariamente scritti: tante, tantissime volte la poesia la scrive il cuore nell’animo, nella storia, con la vita. In quell’istante ci si sente un pochino più liberi e forse un pochino più se stessi, capaci di generare, capaci di dare alla luce un’opera d’arte.
La potenza delle parole
Il Dizionario Treccani offre un importante chiarimento terminologico in merito a cosa è “parola”, definendola come un «complesso di fonemi, cioè di suoni articolati, o anche singolo fonema (e la relativa trascrizione in segni grafici), mediante i quali l’uomo esprime una nozione generica, che si precisa e determina nel contesto di una frase». Ma siamo sicuri che sia soltanto questo? Le parole, infatti, hanno un forte potere evocativo, che le rende veicolo di trascendenza. Basti pensare, anche solo per qualche istante, al significato personale che ciascuno attribuisce a parole quali casa, abbraccio, madre, padre etc., o a ciò che scatta nella mente di un giovane o di un ragazzo alla parola musica, per accorgersi di quanto dietro ogni termine vi sia la storia di ogni uomo e con essa una pregnanza comunicativa che travalica ogni confine terminologico.
Parlare, dunque, non è solo comunicare un messaggio, ma è innanzitutto approcciarsi a se stessi, all’altro e alla realtà con la propria storia e le proprie precomprensioni. Un tale bagaglio, il più delle volte inconsapevole, porta gli interlocutori protagonisti di una conversazione a scambiare informazioni e, allo stesso tempo, parti di sé.
Le parole sono una sorta di portfolio esistenziale, un biglietto da visita di quelle esperienze che hanno formato la persona, rendendola ciò che è. Esse possono costruire o demolire, ferire o guarire, fabbricare ponti o innalzare muri. Si potrebbe quasi dire, metaforicamente, che le parole sono chiavi messe nella mani dell’uomo il quale può decidere cosa fare, se aprire porte o serrarle a più mandate.
La potenza della poesia
Il superamento che le parole permettono agli uomini di compiere, trova la sua più alta forma d’espressione nella poesia. Essa è il frutto di quelle parole che si fanno spazio nell’animo umano scrivendosi piano piano, quando si vive un momento di stupore. Non si tratta necessariamente di grandi accadimenti. Può essere un tramonto, un temporale, un abbraccio, una delusione, un pianto liberatorio o doloroso, un attimo di silenzio, la scoperta di qualcosa che fino ad allora nel cuore ancora non c’era, o forse sì, ma non se ne era coscienti. Si fa poesia ogni qualvolta ci si ritrova davanti a quell’incommensurabile segreto che ogni uomo porta nel cuore e ci si scopre incapaci di esprimerlo solo con le parole. Perché per quanto esse sappiano evocare, non possono racchiudere il mondo che ciascuno porta con sé, lo snaturerebbero e spezzerebbero l’eternità delle parole che, proprio perché tali, sopravvivono alla storia e permettono agli uomini – che lungo le generazioni le incontrano – di ritrovarsi in esse.
Questo concetto, apparentemente complesso, motiva l’inquietudine presente nel cuore di tanti giovani oggi, che in un contesto dove tutto è fugace, veloce, immediato, si scoprono disorientati, incapaci di ascoltare, leggere, interpretare le parole che la vita scrive dentro di sé.
In questo senso, la poesia può essere un’opportunità di rinascita, occasione per riconoscersi e immedesimarsi nelle parole di un altro e stupirsi di come ci si scopra capiti, compresi, incontrati. Da questo incontro, infatti, si ritorna sempre trasformati e forse un po’ meno soli.
La potenza dell’ascolto
La poesia diviene capace di dirsi e di darsi nella sua pienezza solo se accolta, poiché ogni parola, che sia scritta o pronunciata, ha bisogno di un destinatario che la riceve. Questa ricezione trova nell’ascolto la sua forma più alta, poiché è quella dimensione comunicativa che diventa grembo che accoglie e dà senso. Qui le parole trovano la propria ragion d’essere, perché vengono riempite e arricchite di significato. Si potrebbe dire, in altri termini, che l’ascolto è quell’elemento comunicativo che permette alle parole stesse di trascendere l’uomo e la sua comunicazione.
L’ascolto con la A maiuscola non riguarda solo l’altro o il mondo, ma prima di tutto se stessi. Si tratta di trovare il coraggio per fermarsi, mentre tutto scorre, per dare udienza alla voce della propria interiorità che, anche se non emette suoni, scrive parole nell’animo umano, parole che spesso rimangono inascoltate generando poi frustrazione e assopimento.
Ma come ascoltare se stessi in un mondo in cui certe volte fermarsi equivale quasi a commettere un crimine? Col coraggio della lentezza. In una società dove tutto è fugace, ascoltare significa rallentare anche e soprattutto quando ciò implica l’andare contro corrente con il rischio di essere travolti o, peggio ancora, calpestati dalla folla mediatica che riempie i nostri ambienti e i nostri smartphone. In ballo, in mezzo a tutta questa corrente, resta la vita.
Quella vita che i giovani sentono il desiderio di vivere pienamente oltrepassando i giudizi e le aspettative di tutta una fetta di adulti, che li attende al varco con la pretesa di giudicare i loro sbagli. Quella vita che la storia custodisce, l’arte esprime e la poesia canta. Quella vita che ha bisogno di essere accolta, amata e cioè semplicemente ascoltata.