21 Apr 2021

Quattro schiaffi per un respiro

Silvia racconta la storia di una nascita contro ogni aspettativa, quella di suo figlio, e di come un controllo, che stava per risparmiarsi, abbia salvato la sua vita

«Stavo guardando un film, ma poi i dolori si fanno più forti», racconta Silvia, 52 anni, quando il 7 aprile del 1994 le cambia la vita, e non solo la sua.
Erano giorni particolari, i dolori alla pancia della gravidanza all’ottavo mese non mancavano mai e quella mattina, dopo una passeggiata al parco, torna a casa e sceglie di distendersi un po’ sul divano.
Non passa però molto che avverte la necessità di chiamare la sua dottoressa per informarla che quelli che dovevano essere dolori sporadici stavano diventando sempre più fitti.

«La dottoressa mi aveva detto di vederci alle 16.00 del pomeriggio, ma io ero davvero stanca e le ho detto che se fosse stato un falso allarme si sarebbe risolto da sé, altrimenti sarei andata direttamente in ospedale».
La voce della dottoressa però, che era sempre dolce e materna, racconta la donna, quella volta si fa più dura, e insiste perché Silvia vada da lei per un controllo.
Il pomeriggio si reca col marito allo studio e si prepara per uno dei soliti controlli che prevedeva il monitoraggio del battito cardiaco.
La dottoressa però, sentiva un colpetto al cuore ogni dieci secondi, e invece di ipotizzare che fosse perché il bambino si trovava in qualche posizione strana come era già successo, quella volta il suo volto diventava più teso e guardava spesso la sua assistente.

«Silvia, qualcosa non va, c’è un problema, non si sente il battito», mi dice la dottoressa, «ma io pensavo fosse un problema del macchinario e credevo dovessimo cambiare solamente stanza, invece poi guarda mio marito e come se fosse un automa, gli dice che doveva fare esattamente come le diceva lei.»
Il marito di Silvia allora, come indicatogli, scende al parcheggio, prende la macchina e aspetta Silvia che scende, «la dottoressa ci disse che saremmo dovuti andare al Fatebene Fratelli, e di pregare la Madonna perché solo là, benché fosse lontano, avrebbero potuto fare qualcosa. Nel frattempo anche lei avrebbe pregato per noi».

Silvia e il marito allora partono e caricano completamente il clacson per tutto il tragitto, lei viene caricata su una carrozzina e arrivano all’ospedale al cui ingresso si trovava una statua della Madonna, «Tutto d’un tratto mi sentivo tranquilla, come se anche lei ci stesse aspettando». Le viene fatto il cesareo d’urgenza e partorisce.
«Appena uscito il bambino era blu, aveva il doppio dei giri di cordone, così il medico inizia a scuoterlo e a schiaffeggiarlo, e solo al quarto schiaffo inizia a piangere.. mi dicono che molto probabilmente il mancato circolo di ossigeno avrebbe recato gravi danni cerebrali, e che se anche fosse sopravvissuto, sarebbe stato cerebroleso.»

 

Erano state lunghissime ore per Silvia, nelle quali oltretutto non aveva ancora avuto in braccio suo figlio e di lui non sapeva nulla.
«Solo la mattina dopo, entrando, il medico mi dice “Auguri Silvia, so che si chiama Daniele, un nome azzeccato per un bambino che ha combattuto e che risponde bene alle cure”; così bene che due giorni fa abbiamo festeggiato il suo 27° compleanno.»
Daniele ad oggi non ha riportato nessun danno, fa sport, studia, è in salute, e grazie ad un controllo che stava per essere evitato e che invece è stato preso seriamente.

condividi su