18 Nov 2016

Referendum. La par condicio negata ai fuori sede

Per votare al referendum 250.000 giovani cittadini dovranno rientrare nella propria città di residenza. Perché il voto a distanza non è ancora in vigore in Italia? La sfida della campagna #iovotofuorisede

Le
settimane che ci separano dal voto del 4 dicembre si contano sulle dita
di una
mano mentre gli schieramenti del sì e del no sono sempre più roventi.
Qualcuno
auspica venti di mutamento mentre qualcun altro vuol evitare cambi
irresponsabili di rotta. Ma su un punto sono tutti d’accordo:
lo studente fuori
sede vota a casa sua.

In
Italia gli studenti che hanno scelto di trasferirsi
in
un’altra regione sono
248.351 dislocati presso le 79 università italiane
(dati Ministero Istruzione
2015). Gli scolari pugliesi che hanno lasciato la propria terra per
studio sono
6.032 seguiti dai colleghi siciliani (5.112) e da quelli campani
(4.077).
Insomma non stiamo parlando di cifre irrisorie ma migliaia di cittadini e
cittadine italiani che per poter esercitare il proprio il voto devono
rientrare
nel luogo di residenza con tutte le difficoltà logistiche ed economiche
che
comporta questa scelta.

E
gli sconti riservati dalle compagnie nazionali di trasporto?

Alitalia per il
referendum di Dicembre offre uno sconto di 40€ (escluse tasse) sul
prezzo base
di un biglietto di andata e ritorno mentre Trenitalia sconta del 70% il
prezzo
base di un biglietto sui treni a media-lunga percorrenza nazionale. Ma,
conti
al portafoglio a parte, affrontare un viaggio non è sempre così semplice
e
immediato per uno studente lontano da casa e in buona parte dei casi lo
scoraggia a partire.

Nel
2008 a Torino è nato il comitato
“Io voto fuori
sede”
costituito da un gruppo
di universitari che da anni tenta di fare pressing sulle istituzioni per
permettere, a chi si trova in un’altra città per motivi di studio, di
esercitare il proprio diritto/dovere di voto. «Ancora una volta l’Italia
è
indietro – si legge sul sito – eppure la soluzione al problema esiste, è
semplice e viene applicata con successo in molti altri paesi europei (in
Francia, ad esempio, il voto per delega è ammesso). Tra l’altro una
soluzione
di questo problema permetterebbe un grosso risparmio per le casse
statali non
essendo più necessario rimborsare il viaggio elettorale».

Le firme
raccolte in questi anni
attraverso le petizioni online del
comitato
, hanno
portato qualche frutto ed è così che il disegno di legge elaborato da
“Io voto
fuori sede” il 6 Dicembre 2011 arriva in Senato mentre il 5 giugno 2012
approda
alla Camera. Questo decreto legge, infatti, permetterebbe l’adozione del
meccanismo del cosiddetto “voto anticipato”
(utilizzato da anni in Danimarca)
anche in Italia. Ogni cittadino
danese che fa richiesta, secondo le modalità e i tempi previsti dalla
legge,
può esprimere il voto in un seggio speciale allestito per l’occasione,
votando,
presso il luogo in cui è domiciliato. Affinché ciò sia possibile il voto
dell’elettore fuori sede avviene anticipatamente rispetto a quello di
tutti gli
altri cittadini: per questo viene chiamato “anticipato”.Ma
dalle aule parlamentari, ad oggi, ancora nessun responso. Tutto tace.

Se per alcuni il
voto elettronico
non rappresenta ancora uno strumento sicuro e
affidabile, sia
il voto per delega che quello anticipato sono due esempi europei che di
fatto
rimuovono l’ostacolo della distanza per chi è lontano dalla città di
origine. E
– come spiega il comitato – è lo stesso art. 3 della Costituzione a dire
che
«è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che impediscono [….] l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».
La
prossima legge elettorale darà voce (e matita) a questi 250.000
cittadini?

 

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