È in corso di pubblicazione “La Chiesa ‘nella’ rete” (Carrocci editore), un volume che farà sintesi di questi anni di ricerche restituendoci un panorama ampio di come la Chiesa vive e naviga sulla rete. Rita Marchetti, docente di Teorie e tecniche dei media digitali presso l’Università di Perugia nonché autrice del libro ci ha aiutato a leggere meglio questi dati.
Seminaristi sempre più connessi in rete. Come si spiega questo dato?
«Il dato dei seminaristi è un po’ scontato considerando l’età di questi ultimi rispetto ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Non sottovalutiamo però anche il dato dei sacerdoti diocesani (più della metà ha oltre sessant’anni) con quasi il 18% di loro che naviga quotidianamente in rete. La ricerca ci ha mostrato che le religiose sono quelle numericamente meno presenti però indagando sul loro uso, ci siamo accorti di quanto loro siano molto più aperte verso l’esterno, verso coloro che non sono già inseriti nelle proprie reti».
Che tipo di “amici” hanno preti, suore e seminaristi nei loro profili?
«Gli amici dei seminaristi su Facebook sono in prevalenza gli amici della parrocchia dalla quale provengono, per i sacerdoti diocesani sono i parrocchiani e per i religiosi sono altri religiosi. Nella strutturazione dei network conta chi sei nella vita off-line ma anche cosa fai. Se il religioso è anche professore, nella sua rete ci saranno soprattutto i suoi studenti».
Un parroco, una religiosa, un seminarista è libero di poter dire tutto attraverso i social o deve confrontarsi con dei limiti oggettivi imposti dal suo ruolo?
«Bisogna prestare attenzione e avere la consapevolezza delle dinamiche e delle logiche che stanno dietro a questi social network. Se pubblico una foto online e poco dopo la elimino capisco che quello scatto nel frattempo potrebbe essere stato ricondiviso o scaricato da altri e quindi non mi appartiene più. Stare attenti sì ma non cedere ad un atteggiamento apocalittico nei confronti di questi nuovi strumenti».
I preti 2.0 sono sempre più seguiti e lo stesso Papa Francesco con i vari account Twitter ha superato i sedici milioni di follower in tutto il mondo. I fedeli, attraverso i social network, riescono a percepire più vicina la Chiesa e i suoi pastori?
«Il problema dell’interattività non è inerente solo agli ambienti ecclesiali. Se noi pensiamo all’uso che fanno i politici della rete ci accorgiamo che viene sfruttata per self-promotion, per fare campagna elettorale e non certo per interagire con i singoli cittadini. Questo atteggiamento lo troviamo anche nel mondo ecclesiale dove però è necessario distinguere i diversi livelli: il parroco che interagisce con i suoi ragazzi è diverso dal Papa che twetta a milioni di follower».
Quindi la Chiesa sembra andare al passo coi tempi…
«La Chiesa è stata presente sin dall’inizio in continuità con una tradizione di comunicazioni che l’ha sempre caratterizzata. Rispetto al passato e all’apparire dei nuovi media c’è stato un atteggiamento ancora più precoce nell’utilizzo di queste nuove reti ma questo dipende dalla caratteristiche stesse di internet. Queste nuove tecnologie sono entrate direttamente tra le pieghe della nostra vita quotidiana in modo differente da altri media come la televisione. La parrocchia che rappresenta il livello istituzionale più vicino al vissuto quotidiano delle persone è anche quella che riesce a intercettare precocemente i cambiamenti della società».
I tempi sono maturi per varare una nuova Enciclica sulle comunicazioni sociali?
«I documenti sono tanti e soprattutto i messaggi della giornate mondiali delle comunicazioni sociali dicono tanto sui cambiamenti avvenuti in questi anni. È certamente difficile dare una sistematizzazione organica perché differenti sono usi, differenti sono le piattaforme sociali e diversi sono i contesti sociali in cui la rete viene utilizzata. Si potrà quindi prospettare un documento universale però occorrerà stare attenti alle specificità dei diversi contesti».