Donald Trump ha vinto, superando politicamente ben due impeachment, sopravvivendo ad un tentato assassinio, e sconfiggendo una narrazione mediatica che lo riconduce – in maniera non lusinghiera – alle sue responsablità passate.
Le motivazioni del successo politico che lo hanno condotto ad aggiudicarsi un secondo mandato potrebbero apparire irrazionali, se lette alla luce degli eventi sopra richiamati, ma risiedono in un complesso intreccio di marketing e politica, comunicazione e potere, informazione ed economia.
Il politico come brand
La forza che ha reso popolare il brand The Trump è la medesima che lo ha condotto ai risultati di questa notte. Si tratta, in maniera speculare, di ciò che è mancato a Kamala Harris, candidata che si è trovata a correre verso la Presidenza con ritardo e con un’identità nazionale meno marcata rispetto al suo avversario politico.
Volendo risalire alle radici di tale successo politico, con Donald Trump il personal branding, figlio del marketing, è storicamente confluito in modo non inedito, ma sorprendentemente efficace, all’interno del discorso pubblico, trasformandosi così in political branding.
Ancor prima di candidarsi per la prima volta alla presidenza degli Stati Uniti d’America, Trump ha saputo cucire su di sé una narrazione carismatica, utile al racconto di una success story capitalista, che intrecciasse la sua esperienza di imprenditore edile a quella di personaggio mediatico [The Apprentice, NBC], il tutto sotto l’egida di un messianico American Dream, che si tramuterà – nel corso della sua evoluzione politica – in America First.
Quello che si può definire come brand The Trump presenta, fin da principio, alcune caratteristiche peculiari: carisma vocato all’intrattenimento; sfoggio della ricchezza intesa come capacità di risollevare le sorti della nazione; desiderio di presentarsi all’elettorato come outsider nei confronti delle élite politiche che abitano Washington; linguaggio violento e disintermediato, se non addirittura apertamente ostile ai media mainstream. Moises Naim, autore de Il tempo dei tiranni, riassume tutto ciò in quella che definisce formula delle 3P: populismo, polarizzazione, post-verità, caratteristiche con le quali Donald Trump muove i primi passi verso la sua discesa in campo nel 2015, fino alla campagna elettorale del 2024.
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— Reuters Pictures (@reuterspictures) November 6, 2024
La democrazia come impresa for profit
Per parlare dell’ascesa al potere di Donald Trump, la giornalista Naomi Klein utilizza il concetto di shock non solo per descriverne l’imprevisto risultato elettorale e la reazione sorpresa dei media mainstream, ma per analizzarne anche le strategie politiche, aderenti alla scuola di Chicago di Milton Friedman per quanto riguarda l’utilizzo di privatizzazione, deregulation e tagli alla spesa pubblica. Klein, che all’interno del suo libro Shock Economy si è occupata di riprendere la già esistente dottrina dello shock economico – intesa come disorientamento dell’opinione pubblica dopo un trauma collettivo al fine di far passare misure radicali – ipotizza un’assimilazione della stessa da parte di Trump in campo non più economico, ma politico, tramutandola così in Shock Politics.
Si tratta, in particolare, della presenza di un forte conflitto di interesse a seguito della fusione di un superbrand privato, quale quello dell’uomo-imprenditore Trump, con il simbolo massimo del potere e dell’autorità politica, la Casa Bianca. Secondo Naomi Klein, si inizia così a palesare un’assimilazione del governo degli Stati Uniti ad una impresa familiare for profit.
Chi ha votato il brand Trump
Un secondo punto di forza del brand The Trump, rilevato anche a seguito della sua vittoria elettorale, è la sua capacità di parlare non solo alla classe agiata americana, ma anche ai forgotten man, ovvero quella parte d’America sola, depressa, che ha maggiormente sofferto gli effetti della globalizzazione, che nella rust belt ha visto chiudere le fabbriche, aumentare i disoccupati, e si è ritrovata vittima di un maggior aumento di alcol e oppioidi. Questa situazione – raccontata in maniera efficace dal candidato vice-presidente di Donald Trump, J.D. Vance, in Elegia Americana – viene identificata da George Packer in L’ultima speranza. Ascesa e declino dell’America come Real America: a maggioranza bianca, spinta dalle forze del suprematismo e della religione, ostile alle idee moderne e all’autorità intellettuale, sensibile all’appartenenza etnica [birtherism], e ancor di più all’appartenenza politica, come questioni identitarie di estrema importanza. Si tratta, infine, di un America che ha un forte carattere nazionale, con un atteggiamento verso il resto del mondo isolazionista, ostile all’umanitarismo e alla collaborazione internazionale, ma pronto a rispondere aggressivamente a qualsiasi incursione contro gli interessi nazionali.
Indicatore di tale disagio l’attacco a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, che si è interamente giocato sul campo della disinformazione e della fragilità identitaria di un gruppo sociale spaventato a causa di un aumento di problematiche quali razzismo [Black Lives Matter] e xenofobia, pandemia Covid-19 e una minore fiducia nei confronti di uno dei valori fondanti la società americana: l’uguaglianza. A seguito delle politiche sopra accennate, unitamente all’impatto duraturo del trumpismo, la situazione sociale che si presentava durante, e specialmente al termine della presidenza Trump, veniva caratterizzandosi da una fortissima polarizzazione, erosa la stessa società nei suoi fondamenti civili. Ne è conseguito che ventimila americani hanno attaccato la sede del governo: l’America, e il mondo, hanno subito lo shock trasmesso dalle immagini che provenivano da Washington, testimonianza storica del vilipendio dei luoghi deputati alle principali funzioni democratiche.
Ugualmente, ciò che ha sostenuto gli elettori di Trump nelle votazioni 2024 è una necessità forte di appartenenza. Non li guida la rabbia, ma la tristezza. Non sono sciocchi; sono soli.
Comunicazione politica e mezzi alternativi di comunicazione
In preparazione agli eventi del 6 gennaio 2021, la cittadinanza americana era stata raggiunta da un flusso disinformativo, veicolato principalmente attraverso i social media. I rioters hanno condiviso contenuti falsi in parte per disattenzione, in parte a causa delle filter bubbles ed echo chambers, inevitabili all’interno delle principali piattaforme, rette da logiche algoritmiche. Mentre i principali social cercavano di chiudere ed arginare le pagine e le comunicazioni legate a Stop The Steal, gli utenti – tra i quali roud Boys, Oath Keepers, Three-Percenters – si spostavano su piattaforme come Parler e Gab, divenendo estremamente ricettivi alle chiamate all’azione, anche se violente. Di analoghe caratteristiche la migrazione di Donald Trump su Truth Social, a seguito della sospensione dei suoi account da tutti i principali social.
La sfida per preservare un ambiente democratico, non travolto da strumenti comunicativi mirati al controllo della produzione e del consumo di conoscenza, è ad oggi più urgente che mai. Una politica sempre più influenzata da modelli di leadership, fondati su logiche di brand e intrattenimento, rischia infatti di compromettere il dibattito pubblico e minare i principi essenziali della democrazia. È quindi fondamentale avviare una riflessione profonda su come proteggere la qualità del discorso politico e garantire che la conoscenza e l’informazione rimangano mezzi di partecipazione libera e consapevole, non di controllo e manipolazione.