Elisa Fiori, psicologa e psicoterapeuta, lavora nella sede di Roma dell’Istituto Psicologico Europeo. Si occupa in particolare di supporto psicologico nell’età evolutiva e nel sostegno alla genitorialità. La dottoressa Fiori ci parlerà di come i bambini e ragazzi del nuovo millennio affrontano il tema della sessualità, cercando di capire cosa è cambiato rispetto al passato e in che modo hanno influito i social network.
Nella sua esperienza di psicoterapeuta ha avuto modo di seguire ragazzi molto giovani che si interrogavano sulla loro sessualità. Cos’è cambiato rispetto al passato?
«Alla luce della mia esperienza posso affermare che, rispetto al passato, c’è sicuramente una maggiore ricerca dei giovani rispetto alla propria identità, in particolare per quanto riguarda la sfera sessuale. Questo cambiamento deriva anche dal fatto che oggi i bambini —già da molto piccoli— hanno un accesso molto più libero, diretto e immediato alle informazioni che riguardano questo ambito. Se si ha una curiosità o un dubbio, per esempio, basta cercare su google e ottenere vari risultati, forse anche troppi. Qualche anno fa mi è capitato di fare un laboratorio di educazione affettiva e sessuale in una quarta elementare, parliamo dunque di bambini in un’età compresa fra gli otto e i nove anni. Il corso era stato richiesto direttamente dalle insegnanti e dai genitori, i quali si erano accorti che molti bambini iniziavano a cercare informazioni rispetto a questo tema. Immagina un bambino di dieci anni, che naviga su Internet, che tipo di informazioni può trovare. Informazioni confuse, disfunzionali che risulterebbero difficili da comprendere per gli adulti, figuriamoci per i bambini. Ciò che è cambiato è che oggi, più che ieri, ci sono strumenti che ti proiettano in una dimensione sessualizzata, molto più velocemente rispetto a quanto accadeva prima. Per quanto riguarda l’esigenza di interrogarsi su questi temi, io credo che ci sia sempre stata. Gli esseri umani, bambini o adulti hanno il continuo bisogno di interrogarsi e anche di avere un orientamento rispetto alla propria identità in generale. Forse oggi questa esigenza è più evidente e i bambini cercano le risposte come possono, con tutti gli strumenti che hanno a disposizione».
Quando viene richiesto il vostro intervento?
«Ricordo di un bambino che commentava con i suoi compagnetti una pubblicità a sfondo sessuale trovata su una rivista, utilizzando parole molto forti per la sua età. È proprio da episodi come questi, che nasce la richiesta degli insegnanti di un intervento esperto. É necessario intervenire, anche perché, accanto alla sessualità, c’è l’aspetto affettivo che deve essere considerato e che è assolutamente fondamentale. Altre volte, invece, la richiesta parte dai genitori, che spesso preferiscono non affrontare questi discorsi con i loro figli. È importante portare chiarezza su determinate questioni e rispondere alle curiosità dei ragazzi. Ti dirò di più, una delle bambine della classe di cui parlavo, e che ha intrapreso un percorso di psicoterapia con me, mi ha detto: “ad oggi mi sento molto più a mio agio e tranquilla sotto questo punto di vista e credo di esserlo rispetto ai miei coetanei”. Ecco l’importanza di aver fatto un percorso, che l’ha portata a conoscere con delicatezza e capire cos’è l’identità sessuale, cosa che spesso e volentieri viene trascurata».
Pansessualità, disforia di genere, demigender: termini che non tutti conoscono e che sentiamo sempre più spesso
«É vero, sono termini che si sentono molto frequentemente oggi. Io e i miei colleghi ci troviamo sempre più spesso a parlare di disforia di genere e in generale dei dubbi circa l’identità sessuale con i nostri giovani pazienti. C’è sicuramente una crescita di questi casi rispetto agli anni precedenti. Si utilizzano termini che a volte sembrano strani persino nella loro costruzione, ma che non ci devono spaventare, anche se ad oggi c’è una vastissima gamma di possibilità, un ventaglio molto ampio soprattutto nel mondo LGBT. C’è la pansessualità, ovvero l’attrazione per una persona indipendentemente dal suo genere. Ci sono ragazzi che si definiscono non-binary, né uomo né donna, oppure i demiboy e demigirl, che si identificano solamente in parte con il genere con cui sono nati. Succede che, nella fase di vita tra i 12 e i 15 anni, che coincide con lo sviluppo dell’identità sessuale e ormonale, i ragazzi cercano di definire chi sono. La definizione dell’identità avviene anche attraverso la definizione di ciò che ci piace a livello sessuale. Ad oggi ce n’è sempre più bisogno, ci viene richiesto anche dalla società in cui viviamo, che ci chiama a definirci in qualche modo. Anche la volontà di non definirsi rappresenta una presa di posizione.Ciò che è evidente è che c’è un bel po’ di confusione… In realtà, anche per noi a volte è di difficile gestione: oggi è un tema molto più delicato. Lo accogliamo, ma è decisamente più complesso rispetto a prima».
Quanto influiscono i social network in questo tema?
«L’impatto dei social è forte. Sulle piattaforme se ne parla moltissimo, soprattutto su Tik Tok, Instagram, YouTube… Ovunque in realtà, i ragazzi sono continuamente stimolati. Ovviamente cambiano le dinamiche delle relazioni umane, che vengono riflesse in maniera virtuale sui social. Una ragazza durante una seduta mi ha detto: “oggi è veramente molto difficile destreggiarsi all’interno dei social, perché devi anche stare attento a come ti muovi rispetto al tuo profilo e a quello degli altri. Per esempio nelle chat ci si chiede “come devo chiamarti? che pronome devo utilizzare?” Perché magari la mia identità non coincide con il mio essere uomo o donna o con il mio nome di battesimo. Se sono indecisa metto l’asterisco al posto della lettera finale o parlo direttamente all’impersonale”. Come vedi è impegnativo. Ovviamente non accade sempre così, questi sono dei casi particolari ma frequenti»
La comunicazione social riguardo la sessualità appare più libera oggi. Come reagiscono i giovani?
«Dipende. In realtà non c’è una reazione univoca. Quel che è certo è che oggi c’è una maggiore libertà nel parlare di questi temi, ma è anche vero che dipende da chi riceve e come riceve determinate informazioni. Ci sono tanti ragazzi che sentendosi a proprio agio con la loro identità non hanno pregiudizi, hanno un approccio molto soft e non sembrano preoccuparsi più del dovuto. Altri si incuriosiscono e cercano la loro strada, ciò che meglio li rappresenta, a volte lasciandosi influenzare dai modelli che gli si propongono sul web (come accade in quasi tutti i campi). Per alcuni invece, c’è molta difficoltà nel parlare di sessualità, per cui si tengono distanti oppure giudicano e attaccano quanto gli si pone davanti. Tendenzialmente sono queste le direzioni, anche se le sfumature sono infinite».
Non sempre ciò che vediamo sui social è realtà. Inneggiare a troppa libertà potrebbe essere rischioso per i giovani che osservano?
«Dipende sempre se la persona che osserva il contenuto ha un tema di vita critico nell’area della sessualità e della libertà. Dipende tutto dagli occhi attraverso i quali si osserva. Si parla tanto di libertà e sessualità.Non solo sui social network. Guarda per esempio Sanremo e ciò che hanno portato sul palco i Maneskin, Madame, Achille Lauro. Se ne parla sempre di più e va bene! Credo sia utilissimo parlarne, anche questo ci fa capire come quello che ci arriva da fuori è un chiaro invito a parlare liberamente e dire chi siamo e ciò che ci piace senza timore. Ma non è facile e noi forse non siamo abituati a tutta questa libertà. C’è anche un pò di fretta adesso. Prima c’era tutto il tempo di capire e di capirsi senza la fretta di doversi definire. Oggi sembra che questo tempo sia venuto meno. Almeno questo è quello che ci restituiscono alcuni dei nostri ragazzi. Sentono il bisogno di capire cosa si è, e di dirlo agli altri in maniera precisa. Questo produce stress. La difficoltà è figlia della richiesta di un mondo che va veloce. Si vede anche attraverso i social, in cui l’esperienza è sempre più diretta ed immediata e in cui c’è anche tanta voglia di stupire gli altri».
Molti pensano che questa sia una moda di oggi
«Potremmo anche chiamarla moda, ma solo in parte è vero. C’è un bisogno maggiore, rispetto al passato, di definirsi. Questo discorso è molto legato al contesto storico, socio-demografico, e politico in cui stiamo vivendo. Quelle che per noi erano le certezze, i capisaldi, oggi sono venuti meno. L’essere umano tende a cercare coerenza, coesione e stabilità. I ragazzi fanno fatica a trovare questa sicurezza all’esterno. La confusione che c’è, si riflette inevitabilmente a livello di identità, e in quella fase di vita la confusione è in larga parte nell’ambito sessuale. L’adolescente sente il bisogno di dire chi è e cosa gli piace, e di caratterizzare la sua identità agli occhi degli altri. Non la definirei una vera e propria moda, è più una necessità che c’è sempre stata e che oggi è decisamente più evidente. È un tema complesso questo, anche noi facciamo fatica a gestirlo. Nell’ambito dell’età evolutiva sta assumendo un ruolo sempre più centrale, ed è giusto accogliere queste caratteristiche. È chiaro che noi, come clinici, non possiamo trovare risposte per i ragazzi, possiamo sostenerli per farli stare bene, consapevolizzarli e offrirgli delle informazioni più chiare. Noi non possiamo prenderci la responsabilità di dire ciò che è giusto o no, possiamo solo ragionare insieme».