Nell’America degli anni 60, l’ormai quarantenne pugile italo-americano Willie Pep si è ritirato da qualche anno. Vivendo un matrimonio difficile, con una moglie molto più giovane di lui e un figlio tossicodipendente, Pep nutre il desiderio di tornare sul ring a 42 anni. Deciso a recuperare la fama, l’ex pugile assume una troupe cinematografica che entra nella sua vita personale, seguendolo in ogni passo della sua giornata, e documentando quello che dovrebbe essere il suo potenziale ritorno.
Il film mira a raccontare il declino simultaneo dell’atleta e dell’uomo. Un pluricampione del mondo di pugilato, che appena si toglie i guanti, viene considerato come una persona qualsiasi priva di talento. Un declino che lo stesso Pep non accetta, anche quando le persone a lui vicine gli consigliano di trovarsi un’occupazione come una persona qualsiasi. Ha numerosi debiti da soddisfare.
Una normalizzazione che porta tanto malessere nella vita dell’ex campione, costretto ad affrontare finalmente quelli che sono i problemi che lo avviliscono, problemi che ha evitato nascondendosi dietro la carriera sportiva.
Ed è proprio grazie alla figura di Willie Pep che emerge il prototipo dell’uomo americano degli anni 60, il quale si crogiola nella mascolinità, alimentando così il suo egocentrismo e il suo egoismo. Una vicenda che ricorda tanto un altro pugile, Jake LaMotta, narrato da Martin Scorsese nel suo Toro Scatenato, con un fantastico Robert De Niro.
Le soluzioni tecniche presentano il prodotto come un falso documentario; i toni interpretativi sono notevolmente vicini alla rappresentazione del fanatismo, ma, ciò nonostante, il film è coinvolgente ed estremamente realistico.