La lotta per la parità di genere non è nuova, ma dobbiamo riconoscere che oggi è sempre più efficace. In diversi Paesi del mondo, i governi sono impegnati a promuovere l’uguaglianza di genere, soprattutto nell’accesso all’istruzione, al lavoro e alle posizioni di responsabilità. Le Nazioni Unite (Onu) nella loro Agenda 2030 hanno dedicato uno dei diciassette obiettivi a questo tema. L’obiettivo 5 dell’Agenda è quello di «raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze» entro il 2030.
A livello globale, c’è un progresso verso questo obiettivo. Il rapporto 2020 sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile pubblicato dall’ONU afferma che «dal 1° gennaio 2020, la rappresentanza femminile nei parlamenti nazionali ha raggiunto il 24,9%, contro il 22,3% del 2015. I dati di 133 Paesi e regioni mostrano che le donne hanno ora un maggiore accesso alle posizioni decisionali a livello locale, detenendo il 36,3% dei seggi eletti negli organi legislativi locali. Questo progresso è in gran parte attribuito alle quote di genere nella legge». Nel mondo del lavoro, lo stesso rapporto nota che «nel 2019, le donne rappresentavano il 39% dei lavoratori del mondo e la metà della popolazione mondiale in età lavorativa, ma detenevano solo il 28% delle posizioni manageriali, dal 25% nel 2000».
Anche se sono stati fatti alcuni progressi, il pieno raggiungimento di questo obiettivo è ancora lontano. Quando guardiamo al settore del lavoro, il rapporto delle Nazioni Unite fa la triste constatazione che «le donne affrontano più ostacoli degli uomini nell’accesso al lavoro e, quando lo fanno, sono spesso escluse dalle posizioni decisionali. Nel 2019, rappresentavano il 41% delle posizioni manageriali nel sud-est asiatico e il 40% in Nord America, ma solo l’8% in Nord Africa».
Avanti, a passi troppo lenti
Dalla salute all’economia, dalla sicurezza alla protezione sociale, gli impatti della crisi Covid-19 stanno colpendo in modo sproporzionato le donne. Il rapporto ASviS 2020 fa notare che per l’anno 2020, «secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, il tasso di occupazione femminile nel secondo trimestre 2020 è diminuito di 2,2 punti percentuali, rispetto allo stesso periodo del 2019, contro i -1,6 punti percentuali degli uomini, evidenziando come la crisi stia svantaggiando le donne nel mondo del lavoro. Sulla base delle informazioni disponibili, si ritiene che nel 2020 la crisi peggiorerà le disuguaglianze di genere». Infatti, la pandemia del Covid-19 non è stata affatto clemente con le donne ovunque nel mondo e particolarmente in Italia. Hanno, infatti, perso il lavoro in numero maggiore rispetto agli uomini. Da marzo 2020 a febbraio 2021, nonostante il blocco dei licenziamenti, si sono persi 440.000 posti di lavoro di cui 300.000 donne. Sia 68% dei licenziati sono state le donne. Al livello dell’Unione europea, l’Italia occupa il penultimo posto riguardo il tasso di occupazione femminile (15-64 anni) con 49% nel 2020 nota l’Eurostat. Si nota dunque un callo di 3,3 riguardo l’anno 2017 dove si registrava un tasso di occupazione femminile di 52,3% collocando sempre l’Italia al penultimo posto tra i paesi dell’Ue.
Per quanto riguarda le posizioni occupate nelle professioni, si nota anche qui la prevalenza degli uomini sulle donne. Il rapporto sulla situazione sociale del Paese pubblicato dalla Censis, indica che nel 2018, il 79% degli imprenditori erano uomini contro 21% di donne. È quasi lo stesso con i ruoli di dirigenti, dove si nota un 68% di uomini contro soloil 32% delle donne.
L’Università La Sapienza di Roma, la più antica università di Roma e la più grande in Europa, dal dicembre 2020 è diretta da una donna. È la prima rettrice donna dell’università di Roma la Sapienza in 717 anni della sua storia. Un esempio, che illustra perfettamente la situazione squilibrata della presenza femminile nei posti di decisione in Italia. I posti di lavoro dove le donne sono di più sono quelli dei Coadiuvanti familiari (56%), Collaboratori (55%) e Impiegati o Intermedi (57%). Questi dati significano che le donne sono più numerose nei posti a bassa qualifica, che nei posti di decisioni. Questa differenza di trattamento si fa notare anche a livello di stipendio. Il rapporto Censis sottolinea ad esempio una differenza di reddito fra i professionisti iscritti alle Casse previdenziali privatizzate nel 2017. La differenza di reddito fra uomini e donne è di circa €15.000 (€41.507 per gli uomini contro €26.537 per le donne). Lo stesso vale per la professione legale, dove i valori di reddito non sono gli stessi tra gli uomini e le donne. Il reddito degli avvocati maschi è di €51.827, mentre quello delle donne è di €23.357. Questo significa che le donne avvocato ricevono appena la metà del reddito degli uomini nella stessa professione.
Anche se bisogna riconoscere che l’accesso delle donne a posizioni di responsabilità è chiaramente migliorato nel periodo 2015-2020, siamo molto lontani dal raggiungere la parità di genere come stabilito dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030. Alcuni lo vedono come un obiettivo impossibile. Altri, meno pessimisti, credono che ci vorranno ancora diversi decenni per raggiungerlo.
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