Centinaia
di orsetti, legati a dei piccoli paracadute, sono stati lanciati sulla
Bielorussia: portavano, appesi al collo, dei cartellini di protesta con scritte
inneggianti alla libertà e al rispetto dei diritti.
Di
tanto in tanto si legge di un messaggio portato da un palloncino a decine di
chilometri di distanza, o a centinaia, o a migliaia. Rintracciato da qualcuno
che, pur parlando un’altra lingua, capisce la buona intenzione, o la mano tesa,
o lo spirito di pace. E ne è felice, come quando si trova qualcosa di prezioso
senza averlo cercato: un soldino, o un porcino, o persino un tesoro.
Ma
non a tutti è dato, o era dato, o sarà dato, di avere a disposizione un
palloncino da lanciare in cielo. O una bottiglia da lanciare in mare. O un
orsetto di peluche da lanciare col
paracadute.
C’era
un ragazzo – mettiamo che si chiamasse Vincenzo, o Vince, o Enzo – a cui
piaceva lasciare messaggi. Dopo averli scritti li chiudeva in una bottiglietta,
o in una scatolina di latta, o in una bustina di plastica. Poi li deponeva
sotto un cumulo di pietre, o nella fessura di un muro a secco, o nella terra di
un vaso. L’idea non era originale: forse l’aveva presa da un libro, o da un
film, o da un amico. E non era importante il contenuto del biglietto: forse
riportava soltanto una data, o un nome, o un augurio.
La cosa più bella erano
gli occhi di Vincenzo, o Vince, o Enzo, che pregustavano quelli di un altro
ragazzo, o di un adulto, o di un anziano, nel trovare il messaggio, magari vent’anni
dopo, o cinquanta, o cento. E nel prorompere in un «o-o-o».