Sulla mia pelle racconta l’arresto e gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, capaci di cambiare per sempre la vita della sua famiglia.
15 ottobre 2009. Stefano Cucchi, in compagnia di un amico, viene fermato in serata da una volante dei carabinieri. Dopo un pungente scambio di battute e una perquisizione approfondita, Cucchi viene portato in caserma a causa di varie confezioni di hashish (per un totale di 21 grammi), tre confezioni impacchettate di cocaina (di una dose ciascuna), una pasticca di sostanza inerte, una pasticca di un medicinale, il Rivotril, utilizzata dal ragazzo per curare l’epilessia.
Il film diretto da Alessio Cremonini parte da questa data, che segna inevitabilmente un solco profondo nella vita di Cucchi e famiglia.
Il ruolo di Stefano viene affidato all’attore romano Alessandro Borghi, noto al grande pubblico per Non essere cattivo di Claudio Calligari (2015), Suburra il film di Stefano Solimma (2015) e soprattutto per Suburra la serie evento di Netflix del 2017.
Borghi non soltanto stupisce per la sua impressionante mimica facciale, ma cattura il pubblico grazie alla capacità di calarsi completamente nella psicologia del personaggio, rendendolo di fatto un suo alter ego. Ancora una volta il giovane attore romano riesce a interpretare con grande dimestichezza il ruolo del ragazzo di periferia, che deve fare i conti con una dura realtà.
La forza predominante del film di Cremonini sta nella capacità di imprimere il dolore fisico e mentale del protagonista a tutti gli spettatori. Il titolo Sulla mia pelle sembra trasformarsi inesorabilmente in Sulla nostra pelle.
Il film gioca sull’effetto di luci spente, talvolta scure, di sguardi lacerati dal dolore; è un abile meccanismo di silenzi, talmente forti da creare imbarazzo e angoscia.
Il silenzio è un fattore ancora più decisivo del magistrale Borghi e della durezza e risolutezza degli attori, che interpretano il corpo dei carabinieri.
Il film non cerca assolutamente di creare una battaglia tra Cucchi e le forze dell’ordine, non cerca di impostare una guerra tra bene o male; il lavoro di Cremonini e la sua troupe è quello di denunciare minuziosamente il nemico di qualsiasi essere umano, il silenzio.
Abile è il gioco di impostare la sceneggiatura su una serie di personaggi che, pur rappresentando a pieno le istituzioni, giocano al classico gioco della patata bollente, preoccupandosi più di sincerarsi che le ferite del ragazzo non siano opera loro, piuttosto che provare ad instaurare un dialogo con quest’ultimo.
Il silenzio è la vera rivelazione del film, l’arma decisiva a smuovere le coscienze, gli occhi e i sensi. Non c’è nessuna lezione da imparare, non c’è nessuna voglia di giudicare Cucchi e assolutamente non c’è alcun incitamento all’odio verso le forze dell’ordine.
Sulla mia pelle non è un semplice film, ma la chiara dimostrazione che il cinema può essere un forte strumento d’inchiesta, denuncia e analisi. Tutto ciò che analizziamo, non è finalizzato al semplice personaggio, bensì allo spettatore stesso, perché tutti potremmo provare il dolore di Cucchi, ucciso ancor prima da un silenzio assordante delle istituzioni, piuttosto che da quella misteriosa e terribile notte in caserma.
Il film contiene una sceneggiatura cruda, ma terribilmente efficace, un cast preparato, perfetto nella distribuzione dei ruoli e un clima capace di oscillare abilmente tra l’angoscia e il senso d’impotenza.
«Sono contento per quanto riguarda Sulla mia pelle… È un chiaro film di denuncia, stile Rosi negli anni ‘70». Concludo con questa frase del giornalista Renato Butera, professore presso la facoltà di Scienze della Comunicazione dell’università Pontificia Salesiana di Roma. Il termine denuncia e l’accostamento al regista Francesco Rosi è stato decisivo per garantire la stesura di questa recensione.
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Sceneggiatura: Alessio Cremonini
Fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Chiara Vullo
Scenografia: Roberto De Angelis
Musica: Mokadelic
Suono: Filippo Porcari
Interpreti: Alessandro Borghi, Jasmine Trinca,Max Tortora, Milvia Marigliano
Paese di produzione: Italia
Anno: 2018