“La vita di Giulia ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte può, anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne”. Queste le parole piene di dolore pronunciate da Gino Cecchettin al funerale della figlia uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, svoltosi lo scorso 5 dicembre nella Basilica di Santa Giustina a Padova. Prosegue poi così la sua lunga lettera di addio, contenente però anche un messaggio di speranza: “Che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita”.
La drammatica storia della 22enne di Padova infatti, rappresenta solo l’ennesimo capitolo di una narrazione che si ripete troppo spesso. Più di un centinaio le donne uccise in questo 2023, e tantissime altre quelle che subiscono violenze ogni giorno, all’interno delle mura domestiche, lontano dai riflettori dell’opinione pubblica.
Il clamore per il femminicido di Giulia
Solo alcuni episodi riescono ad ottenere una breve attenzione mediatica. Molte storie gravi però vengono velocemente dimenticate: donne uccise, violentate, picchiate, minacciate o stalkerate rischiano di trasformarsi in semplici numeri da aggiungere alla lunga lista di vittime di violenza di genere.
Al contrario, l’episodio di Giulia Cecchettin ha destato un forte sgomento nell’opinione pubblica, sia per via della giovane età della ragazza e sia per il contesto culturale nel quale è stato commesso il delitto. In Italia si è innescato un importante dibattito culturale che vede due posizioni di pensiero opposte: chi sostiene che il femminicidio di Giulia sia stato solo un caso isolato dovuto ad un raptus improvviso, e chi sostiene che sia frutto di un’ideologia patriarcale radicata all’interno della società.
Il prof. Paolo Gambini – docente di psicologia familiare all’Università Pontificia Salesiana – ha fatto luce sulla questione, approfondendo i motivi del dibattito e analizzando i pareri discordanti dal punto di vista psicologico.
I dati sulla violenza di genere in Italia
Nelle ultime settimane una parte dell’opinione pubblica ha tentato di sminuire il dato dei femminicidi in Italia, ritenendolo un fenomeno in calo rispetto agli ultimi anni, cercando di ridurre la portata del problema. I dati, però, raccontano un’altra realtà: nel report settimanale del Ministero dell’Interno a cura del Dipartimento della Pubblica sicurezza emerge come nel periodo 1 gennaio – 17 dicembre 2023 siano stati registrati 115 femminicidi. Osservando anche i dati degli anni precedenti, si evince come il fenomeno dei femminicidi sia tutt’altro che in calo, ma risulti stazionario con un trend lievemente crescente (2020: 119, 2021: 122, 2022: 128). Ad oggi, di queste 115 vittime, 94 risultano uccise in ambito familiare/affettivo (82%), di cui 61 per mano del proprio partner o ex-partner.
Ma il femmicidio è solo la punta dell’iceberg delle violenze di genere, che comprendono un orizzonte molto più vasto. Oltre alla violenza fisica, gli atteggiamenti di abuso e di controllo della persona possono manifestarsi in diverse tipologie di violenza: verbale, psicologica, economica. In Italia queste persecuzioni vengono definite reati spia e comprendono gli atti persecutori, i maltrattamenti contro familiari e conviventi e le violenze sessuali. I reati spia sono degli indicatori molto affidabili di una possibile violenza di genere in atto. L’8 marzo 2023, in occasione della giornata internazionale della donna, è stato pubblicato un report dalla Direzione centrale della polizia criminale riguardante i dati dei reati spia nel quadriennio compreso tra il 2019 e il 2022. Dal documento si rileva come la maggioranza di tutti questi reati abbia come vittima la donna: specialmente il dato riguardante le violenze sessuali, di cui le vittime di sesso femminile costituiscono oltre il 90% in tutti e 4 gli anni di osservazione.
Cosa prevede la legge sulla violenza di genere
La legislazione italiana si è mobilitata a contrasto della violenza di genere solo a partire dal 1996, con una legge che stabiliva la pena in caso di violenza sessuale e sostituiva la norma precedente, nella quale i delitti contro la libertà sessuale erano classificati solo come reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Nel corso degli anni successivi sono state emanate sempre più leggi per tutelare le vittime di violenza di genere: dalla legge contro le violenze domestiche (2001), alla legge sullo stalking (2009), e alla ratifica della Convenzione di Istanbul (2013) che tratta la violenza di genere come un problema socioculturale.
L’ultima legge promulgata in Italia è stata il cosiddetto “Codice Rosso” (2019), che prevede un inasprimento delle pene in caso di violenza di genere, numerose misure per accelerare i processi penali e l’introduzione del nuovo reato di “revenge porn”. Fornendo misure per migliorare la prevenzione, la protezione e la persecuzione penale di tali reati, questa legge è stata un importante passo avanti nella lotta contro la violenza di genere in Italia.
Nel giugno 2023, inoltre, il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo disegno di legge per contrastare il dilagante fenomeno dei femminicidi. L’episodio di Giulia Cecchettin ha costretto le camere ad accelerare l’iter parlamentare per la promulgazione della legge 168 emanata il 24 novembre scorso. Questa nuova norma punta ad un’applicazione più concreta di molte misure già contenute nel “Codice Rosso”, dalla tutela della vittima alla prevenzione per la violenza di genere, attraverso un inasprimento delle pene già esistenti.
Nonostante tutte le leggi promulgate negli ultimi 25 anni, il problema della violenza di genere continua a persistere e la paura nel denunciare è sempre elevata. “Le leggi in Italia ci sono, ma a mancare è la loro corretta e tempestiva applicazione”. A dircelo è Monica Bellon – avvocato penalista esperta in diritto delle persone – che illustra nel dettaglio tutte le difficoltà tecniche che spesso impediscono alla vittima di ottenere giustizia.
Il supporto alle donne vittime di violenza
Il ruolo delle Forze dell’Ordine
Nella maggioranza dei casi – assieme al numero verde 1522 – le forze dell’ordine rappresentano il primo contatto della vittima di violenza di genere per poter denunciare i maltrattamenti subiti. Anche se negli ultimi anni sono stati fatti numerosi passi avanti per un intervento più rapido ed efficace, tutt’oggi si verificano ancora dei casi in cui la donna non si sente sufficientemente tutelata nella denuncia o addirittura finisce per essere colpevolizzata. L’arma dei Carabinieri, quindi, si sta impegnando nell’effettuare la miglior formazione possibile dei propri operatori telefonici attraverso mirati corsi di aggiornamento utili a non sottovalutare più nessuna denuncia. Allo stesso tempo si cerca di prevenire sempre di più il fenomeno della violenza di genere, attraverso una densa campagna informativa diffusa nelle scuole e sui social.
Lavinia Filonzi – comandante del nucleo di psicologia dei Carabinieri della legione Emilia Romagna – ci spiega tutte le procedure, dal momento della denuncia all’intervento pratico, che vengono messe in atto dall’Arma.
Inoltre il capitano Filonzi ha stilato il decalogo “Non è amore”, distribuito nelle scuole e nelle università per la Giornata internazionale sulla violenza contro le donne il 25 novembre scorso. In questo documento vengono elencati una serie di comportamenti persecutori che aiutano a mettere in guardia le donne, e contemporaneamente anche a sensibilizzare gli uomini. L’obbiettivo del capitano è far sì che la violenza venga precocemente riconosciuta e non venga mai minimizzata, banalizzata o giustificata.
I Centri Antiviolenza
In stretta collaborazione con le forze dell’ordine operano i centri antiviolenza: strutture pensate per fornire sostegno, protezione e risorse a donne che hanno subito violenza di genere, questi centri rappresentano un luogo sicuro dove trovare assistenza e comprensione in un ambiente riservato e privo di giudizio.
Dal 1990 offrono in Italia una rete di assistenza alle vittime di violenza e un percorso di reinserimento alla vita quotidiana, attraverso una vasta gamma di servizi: tra cui consulenza psicologica, supporto legale, accoglienza telefonica, colloqui personali ed ospitalità nelle case rifugio.
Dal 2009 è attivo il 1522, il numero verde di emergenza attivo 24 ore al giorno a tutela delle vittime di violenza. Il lavoro del centralinista è un lavoro molto delicato in quanto è necessario instaurare un rapporto di empatia immediato con la vittima, affinché lei possa denunciare in totale fiducia il reato subito senza alcun timore di fondo. Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha dato coraggio a molte persone di denunciare i reati subiti, saturando il centralino del 1522, che si è visto raddoppiare i numeri di chiamate giornaliere, passate in poco tempo da 200 a 400.
Le Case rifugio
Le donne che hanno subito violenze nel proprio nucleo familiare o da sconosciuti possono ricevere accoglienza nelle case rifugio, strutture ad indirizzo segreto in cui si riceve gratuitamente ospitalità e sostegno verso un percorso di autonomia. L’inserimento nella casa rifugio avviene dopo una segnalazione o querela della donna alle Forze dell’Ordine che provvederanno ad informare l’Autorità Giudiziaria.
La casa Sant’Anna Onlus, situata nel quartiere di Torre Angela, dal 2002 porta avanti vari progetti legati all’accoglienza e al sostegno delle mamme vittime di violenza assieme ai loro figli. Il loro obbiettivo principale consiste nell’aiutare l’ospite a ripartire in autonomia, lavorando sulla sua salute mentale e sostenendolo in un reinserimento nel mondo del lavoro.
Il fondatore della casa – Don Vittorio Bernardi – illustra il percorso che si svolge all’interno della casa e le figure professionali legate alla struttura.
Rimedi per ridurre questo fenomeno
Il femminicidio non è improvviso, ma è il drammatico punto di arrivo di una serie di comportamenti violenti nei confronti della donna: lo precedono atteggiamenti volti all’umiliazione della vittima, a partire dalle battute sessiste, fino al cat calling e alle molestie per strada. In una relazione di coppia invece si osservano gelosie malsane e possessive, stalking, minacce, violenze psicologiche e/o fisiche. Queste azioni violente sono una conseguenza di un desiderio condiviso da troppi uomini di possedere e umiliare la donna e controllarne l’esistenza.
Per arginare questo fenomeno sono state organizzare dalle regioni italiane numerose campagne di sensibilizzazione ed educazione, e si sta provvedendo alla formazione di personale predisposto a gestire meglio i casi di violenza, adottare criteri inclusivi nei confronti delle donne nel settore privato e pubblico, ricorrere a misure di protezione e misure cautelari coercitive. È fondamentale investire di più sulla prevenzione della violenza di genere piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sulla tutela delle vittime. In Italia questo divario si osserva anche nella differenza dei fondi destinati alla tutela delle persone che hanno subito una violenza di genere (46 milioni), rispetto agli esigui fondi stanziati per la prevenzione (5 milioni).
È evidente che la violenza di genere non sia affatto in calo. E questo è rappresentativo della necessità di invertire la direzione a livello normativo prima, per ottenere un cambiamento positivo a livello sociale e culturale poi. Non basta l’inasprimento delle pene e non basta neanche dare supporto alle vittime. È necessario riconoscere che il fenomeno non è imputabile a casi isolati, ma va considerato come problema strutturale e come tale la strategia di contrasto deve mirare a rieducare la popolazione nel lungo periodo.